FREE FALL JAZZ

Era da tempo che mi ripromettevo di scrivere qualcosa su Fred Buscaglione, personaggio forse poco “praticato” dai puristi della musica di cui leggete su queste pagine, ma che nella sua fin troppo breve carriera riuscì a portare una ventata d’aria fresca importante nella musica italiana dei tardi anni ’50. Cantante e polistrumentista appassionato di jazz – interesse coltivato anche grazie a mesi trascorsi come prigioniero degli americani in tempo di guerra – Buscaglione decise di rivolgersi al pubblico in maniera scanzonata, facendo suoi certi dettami tipici dello swing d’oltreoceano, ma soprattutto inventandosi – con il paroliere e braccio destro Leo Chiosso, il cui input per la costruzione del personaggio fu imprescindibile – un immaginario da bulli e pupe che stupì e incuriosì le platee “vergini” dell’epoca, che lo accettarono divertite. Così, mentre l’Italia applaudiva ‘Grazie Dei Fiori’, questo strano personaggio cantava (con un timbro che in realtà spesso si trasformava in una sorta di “parlato”) un mondo fatto di whisky, sparatorie e splendidi “mammiferi modello 103” (così si riferisce alla sua bella in ‘Che Bambola’), prendendosi gioco dei gangster movie a stelle e strisce che tanto successo avevano riscosso al cinema. Una parabola velocissima, che si spezzò proprio nel momento di massima popolarità, nel 1960, a causa di un tragico incidente stradale che, suo malgrado, sancì la nascita del mito. Fred, in perfetta linea col suo personaggio, era alla guida di una fiammante Ford Thunderbird.

L’occasione di approfondire il discorso Buscaglione su queste pagine me la offre il buon Franz Campi. I più strenui aficionados sanremesi ricorderanno una sua comparsata tra le nuove proposte ormai tanti anni fa, ma anche i meno attenti si saranno imbattuti involontariamente in una sua canzone almeno una volta, visto che ha fatto in tempo a vendere qualche vagonata di copie di ‘Banane E Lampone’ di Gianni Morandi, della quale ha scritto il testo. A parte questo, una carriera lunga e multiforme: radio, poesia, prosa, teatro. Proprio in quest’ultimo settore la sua strada s’incrocia con quella di Fred Buscaglione: tutto inizia con ‘Sono Fred Dal Whisky Facile’, un’applaudita rappresentazione teatrale in cui Franz veste i panni del cantante piemontese. Il resto è storia recente: lo spettacolo si trasforma in un’accoppiata CD/DVD intitolata ‘Che Soggetto Quel Fred’ (Ermitage), in cui la parte audio vede Campi rileggere una manciata di successi di Buscaglione con cura quasi filologica, mentre quella da vedere si traduce in un bellissimo documentario che, attraverso commenti e testimonianze di una ricca rosa di personaggi (parenti, amici, colleghi, collezionisti, estimatori: da Freak Antoni a “El Pasador” Paolo Zavallone passando per Paolo Belli e Paolo Limiti), ne ricostruisce in maniera vivida ed efficace l’ascesa, la caduta e l’impatto socioculturale.

Franz Campi e la musica di Fred Buscaglione: una passione che nasce come?
Mi è sempre piaciuto moltissimo il suo modo di stare sul palco, di cantare recitando. E, da addetto ai lavori,  ho sempre ritenuto che brani come ‘Teresa Non Sparare’, ‘Eri Piccola’, ‘Che Notte’ o ‘Che Bambola’ fossero dei veri e propri gioielli per come erano costruiti e proposti al pubblico. Spesso mi sorprendevo a canticchiare qualche brano di questo strano signore che aveva cinguettato la sua ultima nota qualche anno prima addirittura che io nascessi… Ormai sono 4 anni che mi dedico a Fred con una passione che va ben oltre l’interesse per un artista del passato che per lavoro porto spesso in scena. Mi sono innamorato, tutto qui. È stato davvero uno dei più grandi compositori pop, musicisti e interpreti del nostro paese.

Com’è maturata l’idea di uno spettacolo teatrale basato sulle sue canzoni?
È stato il produttore Rino Maenza, con cui avevo già collaborato a un progetto di teatro-canzone dedicato a Gaber e che in gioventù fu il produttore dell’indimenticato Carmelo Bene, che mi propose di portare in scena la sua storia. La sua proposta verteva proprio sulla ricorrenza dei 50 anni dalla scomparsa di Fred, in un momento in cui stava ritornando a galla il suo nome ed erano diversi gli omaggi alle sue canzoni che si potevano ascoltare, anche nelle rinnovate versioni di grandi artisti. Negli anni ’60 la musica riscontrò enormi cambiamenti e giocoforza i primi “rivoluzionari” come lui vennero presto dimenticati. Negli ’80 ci fu qualche rivisitazione – in chiave rock quella di Beppe Starnazza E i Vortici proposta da Freak Antoni, il leader degli Skiantos – ma occorre attendere la metà degli anni ’90 per una sistematica riproposizione del suo repertorio da parte di numerosi cantanti e band. Fino ad arrivare ai primi anni del 2000, in cui non si contano le proposte musicali che ricordano Fred e il suo mondo di bulli, pupe e whisky.  Sì, la proposta di Maenza è arrivata nel momento giusto: un progetto teatrale offriva il modo di raccontare una favola fatta di speranza e tanta musica. Eros Drusiani, autore e regista della messa in scena, ha saputo cogliere l’essenza di quella vicenda e offrire al pubblico il senso del lavoro e della vita di Fred con leggerezza ed ironia. Altri elementi decisivi in scena sono dati dall’enorme simpatia e capacità vocale di Barbata Giorgi, che offre nello show un breve assaggio di brani di quegli anni magici in cui sulla scena irruppero altri giganti come Mina e Modugno. E poi ci sono le canzoni, che anche quando suoniamo nei club e nelle piazze senza alcun testo teatrale,  bastano da sole a coinvolgere ed entusiasmare tutti gli ascoltatori: la musica di Fred va ancora fortissimo!

Secondo te perché ha resistito bene al tempo? Perché era avanti sui tempi rispetto al resto del panorama italiano o cos’altro?
Certamente all’epoca in Italia lui e pochissimi altri rappresentarono una rivoluzione, ma più che per lo swing – che comunque era già stato masticato dal grande pubblico nel dopoguerra e portato al successo dal lavoro di Natalino Otto – per la creazione di un “brand”, insomma, di una specie di marchio. Prima di Fred, chi saliva sul palco e muoveva l’ugola era semplicemente un cantante. Invece Buscaglione  con tre semplici elementi – baffetto alla Clarke Gable, sigaretta che pendeva dalle labbra come nell’iconografia dei grandi film hard-boiled americani e Borsalino in testa – diventava la parodia del gangster. Il primo in Italia a permettersi di sbeffeggiare in qualche modo i divi oltreoceano, ma soprattutto il primo a creare un ‘personaggio’. Insomma in questo la coppia Buscaglione-Chiosso fu veramente avanti di 50 anni rispetto agli altri. E ancor oggi moltissimi ricordano con affetto quel tipo con baffetti, sigaretta e Borsalino, insieme a quei brani oggettivamente ancora belli, precisi, originali e divertentissimi. Non era più il capo orchestra e cantante Ferdinando Buscaglione: ormai era diventato “Fred dal whisky facile”. E così doveva essere anche nella vita privata.

E infatti si racconta che a un certo punto Fred sia rimasto “prigioniero” del suo personaggio. Tu che idea ti sei fatto al riguardo?
Il successo costa caro. È lo stesso scarto che credo provino tante star dello show business attuale, scambiate dai fan per il riflesso che proiettano sul palco durante le proprie esibizioni. Dev’essere terribile, se ci pensate, essere Indiana Jones o Harry Potter anche quando sei dal barbiere o a fare la spesa. All’inizio magari diverte, ma con il tempo penso possa creare seri problemi. E infatti molti di questi attori o grandi cantanti spesso cedono e crollano psicologicamente, finendo per affidarsi a pillole o altro per svuotare il cervello e ottenere un poco di tregua dall’enorme pressione. Era stanco Fred. Me lo hanno confermato in tanti. E sperava di riuscire a sgusciare fuori dal rutilante mondo che si era costruito e tornare ad essere una persona. Eppure noi lo amiamo proprio per quella maschera e per la gioia che continua a regalarci l’ascolto delle sue canzoni a più di mezzo secolo di distanza.

Com’è avvenuta tutta la preparazione allo spettacolo teatrale? Hai rivisto filmati, sei andato alla ricerca di vecchi articoli, hai parlato con chi l’ha conosciuto?
Ho letto tutto quello che sono riuscito a trovare su di lui. Sono diverse le pubblicazioni editoriali, a partire da quelle curate da Vincenzo Mollica, Maurizio Ternavasio, Gioacchino Lanotte, Giancarlo Susanna e naturalmente Leo Chiosso. Ci sono i documentari RAI firmati da Giancarlo Governi, da Minoli e uno mai pubblicato in DVD realizzato a Torino da Ternavasio. E poi per fortuna c’è internet. In rete, con molta pazienza e tempo, ho scovato tantissimi documenti, filmati e ricordi dei suoi ex colleghi. Proprio grazie a Gioacchino Lanotte e alla nipote Letizia Buscaglione sono riuscito a rintracciare l’altro nipote di Fred, Fredi Armenzoni, nonché numerosi testimoni e collezionisti. Ne approfitto per ringraziare, insieme a loro, anche Gianni Cerri e Stefano Di Tano: due persone che vivono nel culto del grande Fred e possiedono incredibili cimeli che custodiscono con passione ed amore.

Quanto è stato difficile “impersonarlo”? Preparando lo spettacolo ti sei imposto di restare quanto più possibile “fedele all’originale” o anche a ritagliare uno spazio, magari non invasivo, per te stesso? Insomma, quanto c’è di Franz Campi nell’interpretazione?
Anche qui il lavoro di ricerca e i tentativi non sono stati pochi. Ho la fortuna di riuscire a “grattare” con la voce senza grossi problemi. Proprio come faceva Fred. Per riuscire a ottenere quel tipo di “grana”  lui però fumava molto… Una specie di tabagista per contratto.  Invece ho dovuto studiarmi bene il parlato: quelle esclamazioni che intercalava spesso nelle frasi e la modulazione della voce nei dialoghi. Infine è venuta l’analisi del repertorio, per scegliere i brani più adatti per uno spettacolo di teatro-canzone e per quello che desideravo: riuscire a trasportare per un’ora e mezza centinaia di persone in un’epoca vicina ma incredibilmente lontana in quanto a ritmi e stili di vita. Ricordare la durezza di quegli anni, la speranza per un futuro migliore, ma anche la spensieratezza e quel senso di liberazione dai pensieri e dalle fatiche quotidiane che solo la musica riesce a regalare, insieme alla rappresentazione del percorso umano e artistico di Buscaglione: una carriera coronata dal successo solo dopo 20 anni di gavetta e purtroppo terminata troppo presto. Di mio ci sono due cose nello spettacolo: la prima è una certa guasconaggine, che indossavo con le donne in gioventù. E a dire il vero, questo aspetto da duro spaccone e sciupafemmine apparteneva proprio all’amico ed autore dei testi di Fred, il bravissimo Leo Chiosso, che proiettò questo aspetto del suo carattere nel personaggio interpretato da Buscaglione. L’altra e ultima concessione la regalo al pubblico a fine spettacolo dopo i bis, quando torno Franz e racconto qualche aneddoto delle mie esperienze a Sanremo: c’è da ridere anche qui…

Quanto pensi sia importante l’autoironia per un artista? Buscaglione sembrava averne tanta, ma si tratta di una qualità che va diventando sempre più rara al giorno d’oggi: i musicisti tendono a prendersi molto più sul serio. Talvolta anche troppo.
Esattamente. Nel nostro documentario Freak Antoni lo spiega benissimo. Io sono devoto ammiratore della sua intelligenza e umiltà. Ridere di sé, non prendersi troppo sul serio, è pratica molto rara soprattutto per un artista affermato. Chi riesce a cogliere invece i segni dei propri limiti e a sfoggiare al proposito un sorriso denigratorio è una persona amabile e saggia.

Come sei arrivato infine alla decisione di realizzare un documentario?
L’incontro con Gianni Salvioni di Ermitage ha messo in moto il progetto.  Ci conosciamo e stimiamo da tempo ed è stato proprio lui, una vera macchina da guerra con una vitalità e una passione per il suo lavoro che ho visto in pochi, che mi ha fatto la proposta. Ho accettato con il solito entusiasmo e sono davvero felice di aver realizzato questo CD, ma anche e soprattutto il documentario.

La tua carriera è molto variegata e conta esperienze anche nell’ambito della poesia e della letteratura: prima di concretizzare il documentario non hai mai valutato di tributare Fred con un libro, una biografia?
Io per lavoro scrivo, occupandomi di comunicazione per un ente pubblico, perché come si sa, l’arte non premia sufficientemente tutti i suoi devoti servitori. Però la mia naturale forma di espressione è attraverso il canto e sul palcoscenico. Produrre un opera letteraria o artistica non è che la prima parte di un lavoro espressivo, poi occorre promuoverla, distribuirla e venderla. Ho pensato che nei panni più congeniali e preferiti, con il canto per intenderci, avrei avuto più chance di successo. L’idea di realizzare anche un documentario oltre al CD è frutto della passione che ho per Fred e del tantissimo lavoro che abbiamo fatto per allestire lo spettacolo. A quel punto mi sono ricordato del mio diploma di “Assistente alla produzione televisiva” che presi dopo la laurea in legge, delle esperienze in TV anche come aiuto regista, del mio lavoro di comunicatore per cui ogni tanto curo i montaggi legati a campagne tematiche, e mi sono messo in gioco.

Quanto tempo ha richiesto tecnicamente la realizzazione? Ci stavi lavorando da molto?
Portando in giro lo spettacolo dedicato a Fred da più di tre anni, sia nella versione teatrale che in quella da club o nelle piazze estive, e quindi conoscendo il repertorio come le mie tasche, confesso che la registrazione del CD è stato il progetto discografico più veloce che abbia mai realizzato nella mia carriera. La mia fantastica band – Ernesto Geldes Illino, batteria; Paolo Raineri, tromba; Fabrizio Benevelli o Letizia Ragazzini, clarino e sax; Maurizio Degasperi, piano; Luca Cantelli o Vincenzo Germano, contrabbasso – la bravissima Barbata Giorgi e l’enorme esperienza e sensibilità di Nicola Ciarmatori, che ci ha accolto nel suo Full Digital Studio, hanno reso il percorso veramente tutto in discesa: in soli tre giorni abbiamo realizzato 12 brani. Poi Nicola per il missaggio e Fabrizio Rubini con il mastering hanno fatto il resto con grandissima professionalità e cura. Discorso molto diverso per il documentario: mesi di preparazione, con un grosso lavoro di redazione, reperimento dei contatti e trattativa per la concessione delle interviste. Per fortuna ho coinvolto Stefano Neri, il giornalista con cui ho firmato il lavoro, che oltre a realizzare le riprese video è stato il compagno di viaggio instancabile e affidabile con cui ho macinato migliaia di chilometri sulle tracce dei protagonisti. E poi ancora Tommaso Arosio, che ha imposto il necessario rigore narrativo alle riprese nel montaggio, risolvendo diversi  problemi tecnici. Un lavoro di squadra eccellente di cui sono veramente fiero.

Conoscevi già tutti gli intervistati o qualcuno lo hai contattato apposta per l’occasione?
Sono decisamente troppi per nominarli tutti e spiegare uno ad uno. Diciamo che con alcuni la conoscenza è di lungo corso: Andrea Mingardi, Freak Antoni e Paolo Belli, per esempio. Altre sono state piacevolissime sorprese, come i collezionisti, i parenti di Fred e i figli di Leo Chiosso – Fred e Giorgio – che ho avuto l’onore di avere ospiti tutti in platea nelle recenti repliche dello spettacolo.  E infine il Prof. Cane ed il Prof. Faeti, che hanno offerto delle riflessioni di grande interesse e profondità.

La “mancanza” più importante è quella di Fatima Robin’s, moglie di Fred, ormai ritirata da molti anni: hai provato a metterti in contatto anche con lei?
Intervistarla fu uno dei miei primi desideri.  Recuperato il suo indirizzo, avevo messo in preallarme una mia cara amica che vive a Parigi per aiutarmi nell’impresa e magari accompagnarmi a trovarla nel nord della Francia, dove Fatima vive attualmente. Ma mi è arrivata voce che non è più molto in forma, e correre il rischio di arrivare fin lassù per nulla mi ha sconsigliato dall’insistere. Peccato, perché avrei avuto delle domande da sottoporle riguardo questioni a cui, in altre interviste da lei rilasciate in passato, non aveva mai fatto cenno…

Leo Chiosso invece hai avuto modo di conoscerlo prima della sua scomparsa? È corretto dire che i meriti del successo di Buscaglione vadano divisi al 50% con lui?
Ho avuto il piacere di conoscere i figli, come ti dicevo, ma non Leo. Se non ci fosse stato Leo, Fred sarebbe rimasto un grande musicista ma nulla di quanto successe con il loro sodalizio si sarebbe verificato: fu lui la testa pensante del progetto Fred Buscaglione.  Lui che convinse l’amico, un formidabile esecutore, arrangiatore e cantante, a vestire i panni del duro dal cuore tenero. Tutta una recita, ma di altissimo livello. Dopo la scomparsa di un artista come Fred, chiunque altro si sarebbe dissolto nel suo ricordo.  Leo invece continuò la carriera firmando brani di grande successo per Mina e Gaber e lavorando in RAI per moltissimi anni.

Qual era il rapporto di Fred con il jazz e la musica americana?
Fred era “una scimmia del jazz”, per dirla con Paolo Conte. Lasciò il conservatorio perché la Classica gli stava stretta. E fu folgorato dal jazz, formando con il fisarmonicista Renato Germonio uno dei primi jazz duo torinesi. Agli inizi degli anni ’50  fu incoronato da una delle massime riviste jazz come il miglior violino europeo, giusto dietro un certo Stephan Grappelli, che suonava con un fenomeno chiamato Django, che conosco molto bene perché da tempo porto in giro la sua musica e vicende personali in un altro spettacolo intitolato ‘Il Chitarrista Miracoloso – L’incredibile Storia Di Django Reinhardt’ (un tema, questo, che speriamo di approfondire prossimamente, nda). Sì, amava Armstrong e gli altri mentori del tempo, ma doveva guadagnarsi la pagnotta nei locali da ballo e far muovere le gambe alla gente per tre o quattro ore. Con l’avvento negli Asternovas della moglie Fatima, che possedeva una splendida voce e parlava 4 lingue, le fu affidato un repertorio jazzistico più moderno, e in certi locali più sofisticati il repertorio finiva per scivolare sul be bop con i brani interpretati di solito da Sarah Vaughan. Certo è che Fred con il violino sapeva improvvisare eccome.

Tra i musicisti che hanno gravitato attorno a Fred ce n’è uno da me stimatissimo, di cui oggi non si parla molto: Paolo Zavallone alias “El Pasador”, che hai anche intervistato nel documentario. Cosa puoi dirmi di lui?
Beh, potrei dire che, insieme a quello di Paolo Limiti, è stato l’incontro per eccellenza di questo lavoro. Il maestro Zavallone è una delle persone più simpatiche che abbia mai conosciuto nel mondo della musica. E  avrebbe milioni di aneddoti  da raccontare, frutto di un’infinita carriera che l’ha visto curatore musicale dei più celebri programmi RAI, ma prima ancora uno dei più richiesti e dotati musicisti e capo orchestra italiani. Per non dimenticare i successi discografici: nelle vesti di El Pasador, dietro ai folti mustacchi, solo con ‘Amada Mia, Amore Mio’ ha venduto centinaia di migliaia di copie… Non è più un ragazzo, ma quando si mette al piano si riaccende, compone e macina mille nuovi progetti. Sono tornato a casa sua a fargli vedere il documentario completato, ma sul più bello la moglie lo ha rapito per farsi portare a giocare a Burraco. Avreste dovuto sentire i commenti romagnoli decisamente schietti ed originali…

Ci sono notizie o contributi che per motivi di tempo/spazio non hai potuto includere nel montaggio finale?
Io e Stefano Neri abbiamo raccolto ore e ore di interviste. La selezione è stata dolorosa, come sempre in questi casi, ma facilitata dalla presenza al mio fianco di Tommaso Arosio al montaggio. Certo, molto purtroppo è rimasto escluso, ma i minuti in tutto sono 40 e occorre dare organicità e ritmo, quindi alcune testimonianze sono state sacrificate. Mi è dispiaciuto non essere riuscito ad intervistare Enzo Jannacci, perché, come mi scrisse il figlio Paolo, era già molto malato. Enzo per me rappresenta un fantastico punto di riferimento artistico e in una sua versione live di ‘Faceva Il Palo Nella Banda Dell’Ortica’ dedica espressamente la canzone a Fred Buscaglione.  Nel mio spettacolo ‘Meglio Che Scaricare Un Camion Di Mattoni’ omaggio sempre la sua arte interpretando ‘L’Armando’.  Altre due ‘prede’ mi sono sfuggite: la nipote dell’uomo che soccorse per primo Fred dopo l’incidente, che guarda caso è anche una grande appassionata degli anni ’50, tanto da averne fatto una professione commerciandone i cimeli. E poi il maestro Giulio Libano, che nonostante le diverse telefonate non sono mai riuscito ad incrociare di persona.

Nel corso degli anni ti è mai capitato di riscontrare in un artista qualche qualità che ti ha ricordato, per un motivo o per l’altro, Buscaglione?
Pochi a dire il vero. Come animale da palcoscenico Fiorello è fantastico… Però lo “swing” italiano lo interpreta molto bene Paolo Belli, che infatti ho voluto assolutamente nel documentario. E pure Andrea Mingardi, uno che la gavetta in balera e nei night l’ha praticata sul serio, e infatti quando c’è lui sul palco, il pubblico cade ipnotizzato nelle sue mani.

In quali progetti sarai impegnato prossimamente?
Sto iniziando proprio in questi giorni a lavorare ad un nuovo spettacolo per la prossima stagione teatrale. Porterò in scena, insieme a Barbara Giorgi alla voce/recitazione e Davide Falconi al piano, uno show che riprende gli indimenticabili duetti della canzone italiana, giocando sulle difficoltà e i battibecchi della vita di coppia. Il testo lo vorrei divertente e coinvolgente, ed è per questo motivo che ho ricomposto la squadra vincente con Eros Drusiani come autore.

(Intervista raccolta da Nico Toscani)

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