Diciamoci la verità , è già qualche anno che Wynton Marsalis non ci offre musica degna del suo nome. I problemi all’apparato digerente causatici dall’album con Eric Clapton, poi, devono ancora passare del tutto. Anche in un periodo meno ispirato, comunque, il trombettista di New Orleans è riuscito a tirar fuori almeno un coniglio dal cilindro, ovvero la qui presente ‘Vitoria Suite’: l’organizzazione del festival di Vitoria gli aveva chiesto un brano, Wynton è tornato con un’imponente suite in dodici movimenti, uno per ogni battuta del blues, con tutta la forza della Jazz At Lincoln Center Orchestra e una serie di ospiti (il chitarrista Paco De Lucia, il gruppo di flamenco di Chano Dominguez) per rendere ancora più vivida quella spanish tinge che da sempre alberga nel dna del jazz. Sul livello dell’orchestra non c’è molto da dire, ormai: si tratta di una delle migliori del mondo, rodata da anni di registrazioni e concerti, con un suono inconfondibile che nella big band (forti i richiami a Ellington, Basie, Nelson e Mingus) sublima il senso orchestrale americano di George Gershwin, William Grant Still, Aaron Copland e Leonard Bernstein.L’erculeo lavoro di Marsalis su ritmi, suoni, orchestrazioni, armonie e colori dovrebbe dar da pensare a chi associa il progresso solo ed esclusivamente alla musica ostica e spigolosa. E così, su una base ritmica variegata dallo swing incontenibilie, la ‘Vitoria Suite’ diventa terreno di coltura naturale per scale e armonie ispaniche, intricate figurazioni ritmiche flamenco, escursioni di chitarra acustica e flauto, dense sovrapposizioni melodiche, polifonia esplosiva e assolo trascinanti. Molti i momenti memorabili: l’iniziale, esplosiva ‘Big 12′ che apre il disco su ritmi veloci ed entusiasmanti interazioni fra sezioni e solisti, l’esotica ‘The Tree Of Freedom’ ricca di saliscendi, la ritmatissima e folklorica ‘Buleria El Portalòn’, i bozzetti impressionistici ‘This Land And The Ocean’ e ‘Basque Song’ che tratteggiano paesaggi e vita cittadina, e la sarabanda finale ‘Medizorrotza Swing’ che riepiloga tutto con un indiavolato swing iberico.
Insomma, quando Wynton Marsalis è ispirato i risultati si vedono e si sentono – opere eccellenti come questa, che portano avanti un linguaggio ben preciso incrociando con successo stagioni e riferimenti estetici disparati, in una sintesi originale e vincente.
(Negrodeath)