FREE FALL JAZZ

Darius Jones, già apprezzato su queste stesse webpagine, nel 2012 ha trovato pure il tempo di formare una nuova band, ovvero il collettivo Grass Roots, in cui condivide la frontline col sax baritono di Alex Harding. Completano il gruppo Sean Conly (contrabbasso) e Chad Taylor (batteria). Il termine “grass roots” in inglese indica qualunque movimento di aggregazione spontanea, dal basso, e si presta bene a descrivere la musica del neonato quartetto: aggressiva, libera, ricca di groove ed espressività blues anche nei momenti più cacofonici grazie ad un attentissimo lavoro d’insieme. Il lavoro dei due sax funziona molto bene, Darius Jones enfatizza di più il suo lato free e ayleriano (frequenti i sovracuti stridenti) e assume il ruolo del poliziotto cattivo, mentre il baritono di Harding ci ricorda inevitabilmente Hamiett Bluiett e James Carter e si assume con successo pure un ulteriore onere ritmico, grazie all’indovinato uso di riff potenti e staccati. Non di rado il suo sound assume una bella sonorità vibrante che sfuma poi nel barrito grottesco, secondo una tradizione dell’alterazione timbrica che è da sempre parte della storia del jazz. Ma i due sono eccellenti quando lanciano i temi, li manipolano, li alterano e li distorcono, ad ogni ripetizione successiva: l’effetto cinetico è fortissimo e la band nel suo complesso ne risente in maniera positiva, dando vita ad una musica energica e viscerale. I brani naturalmente consentono ad ognuno di dire la sua, dalla lava mingusiana ‘Flight AZ 1734′ alla romantica e straziante/straziata ‘Lovelorn’ (Darius Jones trasforma ripetutamente il blues à la Johnny Hodges nell’urlo di Albert Ayler, e viceversa), per finire con la lunga ‘Whatiss’, dove il baritono assume il ruolo di un secondo contrabbasso aumentando a dismisura il groove per uno scheletrico rhythm’n'blues che, quasi certamente, non dispiacerà ad Archie Shepp. Da notare ‘Hovering Above’, ultimo brano in scaletta: otto minuti di soffi, droni, contrabbasso con l’arco e note fantasma quasi subliminali. Per un po’ evocativo, poi noiosetto.

Nel complesso, una prova molto positiva per un quartetto che pure dal vivo promette fuoco e fiamme. Darius Jones riconferma, anche con la partecipazione a questo progetto, tutte le buone parole spese sul suo conto.
(Negrodeath)

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