Il gruppo People Places & Things è solo uno dei progetti dell’iperattivo batterista Mike Reed. Con una formazione stabile che vede, oltre al leader, due sax (il contralto di Greg Ward e il tenore di Tim Haldeman) e contrabbasso (Jason Roebke), i PP&T hanno dedicato tre dischi all’esplorazione dell’eredità jazzistica della loro città , passando dalla rilettura di brani poco noti dell’era hard bop tratti dai repertori di Wilbur Ware, John Gilmore e altri ancora del primo capitolo, alla collaborazione con musicisti contemporanei di Chicago del secondo, fino alla celebrazione live del terzo. Esperienza conclusa, verrebbe da pensare. E invece no, riecco Mike Reed con il quarto capitolo della serie. Il materiale è in massima parte originale, sei brani su otto portano la firma di Reed, più ‘Old’ di Roscoe Mitchell e ‘Sharon’ di John Jenkins, mentre le coordinate sono un po’ le stesse di prima, un quartetto dal suono blues, molto swingante e arioso. L’iniziale ‘The Lady Has A Bomb’ viaggia su ritmi spediti ed elastici su cui i sax si intrecciano in frasi profondamente blues. Sembra quasi di sentire un classico quartetto di Ornette Coleman con due sax, di cui il contralto unisce ‘new thing’ e Johnny Hodges; la stessa storia si ripete con ‘Old’, brano fluido dal fitto contrappunto solistico guidato con sicurezza da una batteria scattante. Non sorprendano a questo punto i colori ellingtoniani di ‘House Of Three Smiles’ e ‘Warming Down’, impreziositi dall’acidula cornetta di Josh Berman che domina la seconda, una sorta di blues etereo e sospeso che nota dopo nota si fa sempre più sottile e indeterminato. Troviamo poi Craig Taborn ospite in ‘Sharon’ e ‘The Ephemeral Words Of Ruth’, la prima una ballad dal tema solare e ottimista, la seconda una composizione ricca di salti di registro e cambi di tempo, con distese oasi di piano rarefatto e ribollenti esplosione mingusiane.
Mike Reed e i suoi compagni cercano di scandagliare e unire epoche diverse del jazz mettondone in luce i nessi in un discorso nuovo e stimolante: questo li pone nel movimento di quella “avanguardia di sintesi” (definizione non mia) che costituisce uno dei filoni più interessanti dell’ultimo trentennio.
(Negrodeath)