Fortemente voluto dall’hubbardiano trombettista David Weiss, quello dei Cookers è collettivo di vere e proprie star che possono vantare un curriculum da capogiro, maturato fin dagli anni ’60 nelle formazioni di Lee Morgan, Dexter Gordon, Alice Coltrane, Andrew Hill, Wayne Shorter, Herbie Hancock e altri ancora. Parliamo di sessanta/settantenni deluxe, del resto, come i sassofonisti Billy Harper e Craig Handy, il pianista George Cables, il bassista Cecil McBee e il batterista Billy Hart. Assieme al più giovane Weiss (leader spirituale del collettivo) e all’altro trombettista, il più davisiano Eddie Henderson, i Cookers si lanciano in quello che amano, vogliono e sanno fare a livelli disumani: puro mainstream evoluto, con un occhio di riguardo per certo suono Blue Note degli anni ’60 che osservava con attenzione le evoluzioni alla frontiera del jazz e ne incorporava schegge e frammenti in un discorso più prudente ma, artisticamente parlando, non certo meno rilevante. Come già nei due album, David Weiss si è occupato di arrangiare i brani, pezzi poco conosciuti del repertorio dei cinque veterani. Unica eccezione ‘Free For All’, classico di Wayne Shorter uscito sull’omonimo capolavoro dei Jazz Messengers. E come già nei due album precedenti, non si tratta di una blowin’ session fra vecchi amici che si scambiano assoli battendosi il cinque, ma di un lavoro straordinariamente coeso che mette sì in mostra il talento cristallino dei singoli, ma sempre all’interno di composizioni splendide e di un gran lavoro d’insieme, come a rimarcare l’identità di band fatta per durare. Il suono complessivo ricorda un po’ il lavoro per organici estesi di Oliver Nelson, Booker Little, Joe Henderson, Freddie Hubbard e Bobby Hutcherson. Si pare quasi in sordina con ‘Believe, For It Is True’, un brano austero e cupo nel tema e nei passaggi d’insieme, in piacevole contrasto con l’energia contagiosa dei solo di Harper e Weiss, poi l’album ci afferra per la gola e non molla più, con brani eccezionali come Temptation(s)’, un lento di grande atmosfera con un arrangiamento sontuoso che ricorda i lavori di Davis e Gil Evans, ‘Quest’, l’unione fra flamenco e fanfare in New Orleans style, la più contorta, aggressiva ‘Tight Squeeze’, vicina all’Hubbard di ‘Breaking Point’, o l’allegra e coloritissima ‘Naaj’, quasi un carnevale jazzistico che strizza l’occhio a Ellington e Gillespie.
Che altro aggiungere? Lunga vita ai Cookers, finissimi esploratori dell’evoluzione del linguaggio jazzistico in rapporto ai tempi e all’aggiornamento delle prassi.
(Negrodeath)