FREE FALL JAZZ


Il Birdland riaperto da una trentina d’anni a questa parte non sarà proprio l’originale in cui si esibiva il buon vecchio Charlie, ma resta a suo modo un’istituzione. Come istituzione possiamo definire anche Jim Hall, classe 1930, veterano della chitarra jazz mai sufficientemente elogiato, che per questa nuova uscita si affida, come sua consuetudine da qualche anno a questa parte, al sito di crowdfunding ArtistShare (tramite il quale è fresco di produzione anche ‘Live! Vol. 2-4’, box set triplo che raccoglie i brani rimasti fuori dallo storico ‘Jim Hall Live!’ del 1975).

‘Live At Birdland’ (registrato nel Novembre del 2010) gioca sul sicuro a partire dal titolo, ma anche dai musicisti coinvolti: attorno al chitarrista troviamo infatti la collaudatissima sezione ritmica formata da Steve LaSpina (basso) e Joey Baron (batteria), entrambi con lui sin dagli anni ’80, e il sax contralto di Greg Osby, che pure gravita attorno alle sue formazioni da almeno una quindicina d’anni. ‘Furnished Flats’ apre il disco con la chitarra in prima linea, ma presto diventa chiaro che, una volta di più, quelle sei corde dallo stile sempre “in punta di piedi” preferiranno trasformarsi in spina dorsale anziché rubare la scena. Quella stessa scena occupata con maestria da Osby, che dopo cinque minuti attacca con un memorabile solo prima di dare il cambio ai soci: assolo di basso, assolo di batteria, rientro di Hall a chiudere il cerchio. Nulla di nuovo sotto il sole, ma i quattro non si adagiano sul (pur ottimo) mestiere, anzi: offrono una “scintilla” innegabile, e tanto basta per scaldarci.

L’immancabile ‘All The Things You Are’ s’inserisce nel medesimo solco, con Hall, Osby (proprio in grande spolvero) e LaSpina che si danno il cambio con una manciata di soli, mentre il resto del programma prova, nei limiti del possibile, persino a variare un po’ il piatto, tra qualche parentesi free form (‘Friendly Recollections’, un piccolo bozzetto in cui si può tirare un attimo il fiato, con la chitarra accompagnata solo sporadicamente dalle percussioni di Baron) e strizzate d’occhio esotiche (dalla samba di ‘Beija Flor’, tema del dimenticato Nelson Cavaquinho, al calypso della conclusiva ‘St. Thomas’). La pensione può attendere. (Nico Toscani)

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