FREE FALL JAZZ

Dopo l’uscita del notevolissimo ‘In A Rainy Day’ in duo con Roberto Ottaviano, che pure meriterà una prossima recensione, ecco l’ultima uscita, in anteprima, dell’Orchestra di Andrea Centazzo. Un orchestra, dopo quella della Mitteleuropa, costituitasi appositamente per il Festival Ictus a New York, festival organizzato allo Stone per i 35 anni (!) dell’etichetta ICTUS fondata da Andrea e Carla Lugli. Il festival ha permesso ad Andrea di presentare i progetti suoi e collaterali, ma anche di farci (ri)ascoltare musicisti italiani che attualmente non hanno grosse occasioni di farsi sentire nei nostri confini (oltre a lui stesso, mi riferisco a Guido Mazzon e a Carlo Actis Dato). L’orchestra che qui si ascolta rappresenta un mix tra nuovo e “vecchio” davvero notevole. Oltre ai già citati Centazzo, direzione, batteria e percussioni, Mazzon, tromba, Dato, clarone e sax baritono, ci sono Dave Ballou e Brian Groder alle trombe, Giancarlo Schiaffini al trombone, Roberto Ottaviano al sax soprano, Achille Succi al clarone, clarino e sax alto, Umberto Petrin al piano, Riccardo Massari, elettroniche e piano, Gino Robair, batteria ed elettroniche, Giorgio Vendola, basso acustico, e Lisle Ellis, basso elettrico. Un “esercito” di 13 musicisti che si incontrano per la prima volta, e che riescono a fornire un risultato senza dubbio più che positivo, dovuto non solo alle capacità degli  stessi: indubbiamente la scrittura e la direzione di Centazzo hanno permesso di esaltare le varie personalità e la coesione del gruppo. Nel brano di apertura, ‘The Invasion’, per esempio, si crea un tappeto sonoro di soli piatti e elettronica che permette ai vari Carlo Actis Dato e Achille Succi di evidenziare le proprie doti. Notevole anche ‘The Victory’, con Schiaffini in evidenza, mentre ‘The Battle’ è forse l’anello più debole di tutto il CD. Dal punto di vista musicale, a mio parere, la traccia più “jazzistica” è la finale ‘Fifth Environiment’, dove Roberto Ottaviano dimostra che la lezione di Steve Lacy non è ancora finita, e dove anche Umberto Petrin prende in consegna un notevole assolo. In tutto il disco la scrittura e l’improvvisazione si fondono molto bene, evitando manierismi di sorta o furberie legate al vecchio concetto di avanguardia: qui i musicisti ci sono e suonano bene! Non è un lavoro che però merita un ascolto affrettato, bensì da ascoltare più di una volta. E poi si tratta di un’orchestra che indubbiamente sarà difficile vedere dal vivo, almeno in Italia, e proprio per questo diventa un evento storico. (Maurizio Zorzi)

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