FREE FALL JAZZ

Dall’immenso archivio della Ogun, grazie al lavoro di Hazel Miller, moglie dello scomparso Harry, riemerge questo documento dal vivo del 1979. Prezioso sicuramente dal punto di vista storico, meno da quello tecnico. Solo il sax è molto riconoscibile, la batteria è solo grancassa e piatti, il basso e il piano sono leggermente penalizzati; comunque resta il fatto che la potenza dei Blue Notes ripresa dal vivo era la loro migliore  espressione, non solo per la musica, ma per quella libertà di improvvisazione che negli album da studio era leggermente ingabbiata, come se il concerto fosse l’unico momento valido. Pronti e via: nonostante la registrazione penalizzante, come detto, il sax di Dudu Pukwana fa la parte del leone e il suono dei Blue Notes appare subito riconoscibile. Il loro modo di aggredire i canoni del jazz su un tappeto ritmico altamente eccitante, facendolo a brandelli e unendolo alla matrice africana, rimane e rimarrà il sempre loro marchio di fabbrica. Un esempio è il superlativo ‘Ithi Gui’, brano di apertura del disco, in cui il sax tagliente di Pukwana, dopo riff canonici, prende l’abbrivio verso vie più spericolate. Oppure il canto di Johnny Dyani, che propone un intreccio tra la musica e la vita (africana). Meno intensi ‘Mange’ o ‘Lakutshona Ilanga’,  dove però si riesce ad ascoltare anche il piano di Chris McGregor, protagonista di un assolo con contorno di urla e schiamazzi del resto del gruppo, o ancora ‘The Bride’. L’apice della performance è però nel lunghissimo, oltre 22 minuti, ‘Funk Dem Dudu’, in cui tutte le caratteristiche del gruppo si evidenziano: le frasi ripetute dal sax, puntualizzato dal controtempo del piano, che qui si ascolta abbastanza bene, coinvolgono l’ascoltatore in maniera ipnotica. In conclusione: per quelli che non hanno nella loro discoteca un album dei Blue Notes, questo è un buon inizio; per quelli che ne hanno già… anche! Dei quattro, ormai solo Louis “Tebugo” Moholo-Moholo è vivo… E quindi: lunga vita al “leone”. (Maurizio Zorzi)

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