FREE FALL JAZZ

Se per caso non vi fosse bastata la spedizione di Joe Jackson nelle lande di Ellingtonia, non preoccupatevi: il mese prossimo esce ‘The Jazz Age’, album in cui Bryan Ferry rivisita in chiave jazz successi del suo passato, solista & coi Roxy Music. La copertina riecheggia i manifesti di Winold Reiss, e di riflesso gli anni della Harlem Renaissance, quindi di quella musica che suonano i musicisti saggi e maturi, o meglio vecchi, quando non morti, insomma il jazz. E già qui son pernacchie, ma vabbeh. Apprendiamo dalla cartella stampa che Bryan Ferry è sempre stato collegato al mondo del jazz, grazie alla sua immagine da squalo dei cocktail bar (e nei cocktail bar cosa si ascolta?). Forte di queste credenziali, roba da far impallidire Louis Armstrong, Bryan ha assemblato un’orchestra di top giezzs musicscianzs per creare nuove versioni orchestral-jazz del suo vecchio repertorio. “Più di recente sono ritornato alle radici, alla stravagante e meravigliosa musica degli anni ’20 – la decade diventata famosa come Età del Jazz. [...] Dopo quarant’anni di musica, sia con che senza i Roxy Music, ho pensato che ora potrebbe essere un momento interessante per rivisitare alcune di quelle canzoni, e di trattarle come brani strumentali di quel magico periodo.” Non stiamo più nella pelle, Bryan, guarda. Naturalmente, è inutile ed ingiusto parlare male di un disco senza averlo ascoltato, e quindi basta. Però rompe le scatole che un altro musicista pop ormai alla canna del gas venga ad elemosinare un po’ di jazz per rifarsi una verginità alla soglia dei sessant’anni. E purtroppo non ci stupiremmo nemmeno di vedergli chiudere l’ultima serata di Umbria Jazz di fronte a diecimila spettatori, magari con il Terence Blanchard o il Jason Moran di turno confinati alle quattro del pomeriggio nel palchino di strada o alle 19 durante l’aperitivo. A questo punto scusate, meglio Dee Snider. Ma molto meglio. Ed è la scoperta dell’acqua calda.


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