FREE FALL JAZZ

Nel caso alla lettura ci fosse qualcuno non familiare col curriculum musicale di Nels Cline, uno dei più grandi chitarristi attualmente in circolazione (nonché già citato in queste lande con il suo progetto BB&C), ne riassumerò i punti salienti: con il Nels Cline Trio ha pubblicato nel lontano 1996 l’album Chest, registrato tra il 1993 e il 1995, e contenente alcune delle più spaventosamente innovative fusioni tra free jazz e post-rock del decennio (tanto che ancora oggi il disco suona all’avanguardia), con The Inkling nel 2000 ha proseguito da solista quel percorso tentando di spingersi ulteriormente oltre nella dimensione dell’astrattismo, con i The Nels Cline Singers ha sfogato la sua vena più free-form aggiungendo al proprio repertorio almeno un altro classico con l’album Instrumentals (2002), in collaborazione con Thurston Moore dei Sonic Youth e Carla Bozulich ha confezionato più di un album teso ad esplorare il suo lato più vicino al rock alternativo, nel 1999 ha rivisitato Interstellar Space di Coltrane assieme a Gregg Bendian, nel 2006 ha rivisto a modo suo la musica di Andrew Hill con New Monastery: A View Into The Music of Andrew Hill, nel 2007 ha pubblicato Duo Milano assieme a Elliott Sharp, nel 2004 è entrato in pianta stabile nella line-up della band alternative rock Wilco. Proprio grazie al lavoro con i Wilco, Cline ha iniziato a venire riscoperto da un più vasto pubblico, ma il suo status soffre ancora degli ovvii inconvenienti derivanti da una prolificità vulcanica (si parla di presenza su più di 150 dischi) tanto quanto il suo eclettismo (che lo rende ostico ai tradizionalisti).

Lo stesso anno dell’uscita di Wilco (the Album), era in effetti il momento più adatto per pubblicare anche Coward, fatica da completo solista di Cline, nonché la sua prima totalmente autonoma (l’ottimo predecessore Destroy All Nels Cline aveva difatti svariati guest) e forse anche la sua più eterodossa. Il disco difatti non è incentrato su di un unico approccio musicale, come potevano esserlo le sue più immediatamente precedenti release, bensì tenta di spaziare attraverso varie influenze, e soprattutto presenta anche un nuovo importante studio certosino sui suoni e non solo sulle strutture dei pezzi.

Spiazzante già in apertura, con il teso drone-ambient di ‘Epiphullum’, l’album offre un secondo spiazzamento anche con la traccia successiva ‘Prayer Wheel’, sorta di omaggio all’american primitivism del folk alla John Fahey. I 7 minuti di ‘Thurston County’, dedicata esplicitamente a Moore dei Sonic Youth, rincorrono un’unione del noise-rock più malinconico di Moore, del folk-rock alla Wilco e dell’ambient elettronico con uno scarno, singhiozzante e nervoso climax che conduce all’emotiva stratificazione finale. I 3 minuti di ‘The Androgyne’, ancora influenzati dal folk solo chitarristico di Fahey, sono l’introduzione perfetta per i quasi 19 minuti della sensazionale ‘Rod Poole’s Gradual Ascent to Heaven’, degno aggiornamento delle lunghe suite faheyane, lungo la quale Cline suona zither, banjo, 12 corde turca e chitarra acustica normale e preparata a 6 e 12 corde, detonandosi verso metà traccia in un’esplosione dissonante per poi riprendere in mano la melodia e condurla verso lidi orientaleggianti, preparando una coda psichedelica.

Il connubio tra folk e free jazz tocca un altro apice tramite la bizzarra ‘X Change(s)’, con minacciosa coda finale degna di una composizione di classica contemporanea, che viene introdotta dalla più atmosferica ‘The Divine Homegirl’ e seguita dal country-folk malinconico ‘The Nomad’s Home’, con finale esotico.
L’ultimo e più forte spiazzamento arriva con quello che poi è il vero cuore dell’album, ovvero la colossale ‘Onan Suite’, divisa in sei tracce per un totale di 18 minuti, che in un flusso senza sbavature passa dal dark-ambient di ‘Amniotica’ al noise-folk ‘Lord & Lady’, all’ambient ‘Dreams in the Mirror’, alle scale blues frammentate, inghiottite nel buio e rigurgitate nel noise di ‘Interruption (Onan’s Psychedelic Breakdown)’, alla batteria elettronica pulsante sotto riverberi e spasmi chitarristici funk in ‘Seedcaster’ e sotto frenetici e livemente orientaleggianti assoli con distorsione blues-rock in ‘The Liberator’. Chiude l’opera ‘Cymbidium’, outro con tappeto drone-ambient e arpeggio post-rock, che fa il paio con la traccia in apertura.

Troppo poco jazz per essere jazz, troppo poco rock per essere rock, troppo poco folk per essere folk, le composizioni di Coward sono così l’incubo ideale dei puristi e quindi un risultato imperdibile per gli ascoltatori più eclettici, e anche senza forse cercare il capolavoro come potevano farlo Chest o The Inkling, restano l’ennesima dimostrazione di un Cline sempre un passo avanti a molti, molti altri. (StepTb)

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