FREE FALL JAZZ

Dopo aver pubblicato uno dei più bei dischi dello scorso anno con ‘Captain Black Big Band’, Orrin Evans non perde tempo e torna rapidamente sul mercato con un nuovo album in trio. Il piano trio è uno dei formati più abusati della storia del jazz ed è forte il rischio di cadere nel già detto o, peggio ancora, nel riccardonismo meditativo e melodico dei vari epigoni di Evans (Bill) e Keith Jarrett (Brad Meldhau, parliamo pure di te). Jason Moran e Vijay Iyer sono riusciti, con grande successo, a rinnovare il formato in maniera profonda e originale. Ora tocca a ‘Flip The Script’, un album che non presenta ospiti (a differenza del precessore, l’ottimo ‘Freedom’) e persegue l’ideale estetico di questo grande e sottovalutato artista, ovvero la divulgazione tramite la rielaborazione e l’aggiornamento di tutto il continuum della grande musica nera. Il denso fraseggio ricco di sonorità blues, soul e gospel, i complessi poliritmi ricchi di spiazzamenti, l’invenzione melodica e le asimmetrie metriche parlano la lingua di McCoy Tyner, Horace Silver, Thelonious Monk e Cedar Walton, fonti di un discorso musicale attualissimo e fresco. Gran parte del materiale è firmato da Evans stesso, ed è veloce, aggressivo, ricco di improvvise variazioni e cambi di traiettoria in media res che rendono l’ascolto eccitante. Due brani come ‘Clean House’ e la title track sono davvero esemplari da questo punto di vista, con un contrabbasso profondo e legnoso che asseconda o contrasta, a seconda dei momenti, il frenetico assalto del piano. ‘Big Small’ invece è un blues lento e suadente dove il piano e il contrabbasso procedono con un andamento pigro e pesante, efficacemente puntellato dai tocchi minimali della batteria. Altri brani notevoli sono l’opener ‘Question’, zigzagante, in odor di bebop d’annata con uno sviluppo pieno di inversioni di rotta che lascia la tensione (e quindi la “domanda”) irrisolta, e una versione originale ed inquietante di ‘Someday My Prince Will Come’, dalla cupa atmosfera noir. Il lato più melodico del disco è ben rappresentato dal soul ‘Brand New Day’ (Luther Vandross), mentre la conclusiva ‘The Sound Of Philadelphia’ è un momento per solo piano fatto di musica metropolitana e pensosa, dalla risoluzione sospesa che sfuma nel silenzio.

‘Flip The Script’ è l’ennesima eccellente uscita del musicista di Philadelphia, deciso più che mai a portare avanti concetti come groove, swing e blues innervandoli di modernità e impeto travolgente. Tra i dischi dell’anno o giù di lì.
(Negrodeath)

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