FREE FALL JAZZ

Quattro giorni di Festival intensi tra il 27 e il 30 giugno principalmente per seguire il Festival di Ljubljana, ampliandolo con qualche concerto all’Udin&Jazz.
Il primo giorno, 27 Giugno, nella stupenda cornice di Piazza Castello di Udine erano in programma Enzo Favata e la sua Banda di Garibaldini e a seguire Dhafer Youssef. Di Favata conoscevo già i suoi progetti precedenti e le ottime recensioni delle esibizioni passate della banda erano più che positive. Qui la proposta era incompleta, infatti mancava la parte recitante che avrebbe reso più comprensibile il progetto, nato da un’idea di Favata ritrovando un manoscritto sulla vita del Garibaldi sudamericano, quindi la direzione presa è stata molto più jazzistica. La prima parte inizia su toni e colori con vaghi echi sudamericani imperniati sui duetti tra i due tromboni, sottolineati da note isolate da Santimone (pianoforte), e si completa su un tema molto romantico sull’innamoramento di Garibaldi e Anita. La seconda parte, sul Garibaldi italiano, ha un approccio decisamente più vigoroso e anche più free, gli arrangiamenti, principalmente di Santimone, mettono ancora in grande evidenza la presenza dei due trombonisti, Schiaffini e Vignato, lasciando a Favata (sax) la possibilità di improvvisazioni libere mentre la solida ritmica, Danilo Gallo e U.T. Gandhi, garantisce un tappeto sonoro sempre costante. Forse un po’ isolato Davanzo alla tromba, seppure protagonista di un bell’assolo. Bello il finale con ‘La Corsicana’,  marcia funebre dedicata a Garibaldi che si conclude con uscita dal palco del gruppo suonando. Peccato la poca presenza di pubblico per un progetto che si avvale di ottimi musicisti e che sicuramente merita di essere rivisto in maniera completa.


A seguire il quartetto di Dhafer Youssef, del quale non avevo nessuna conoscenza. Dhafer alla voce riporta le sue esperienze giovanili, era infatti muezzin, mentre quando suona l’oud riesce a completare l’ottimo apporto ritmico di Phil Donkin al basso e Chandler Sardoje alla batteria, creando con il piano, a cura dell’ottimo pianista estone Kristjan Randulu, un raddoppio di armonia che lascia scivolare via la musica rendendo piacevole l’ascolto. Nulla di nuovo, certo, ma in una calda serata d’estate trascorrere il tempo così non è male, e il pubblico più numeroso lo ha dimostrato.

Il 28 Giugno c’è l’inizio del 53° Festival Jazz di Ljubljana nel Klub CD, un piccolo locale situato in sommità di un palazzo congressi al centro della città, con il duo tra Joe McPhee (sax e cornetta) e Ingebrigt Håker Flaten (basso). McPhee, 1939, multistrumentista e protagonista della prima stagione free è sempre stato ai bordi della notorietà, seppur registrando una moltitudine di dischi. La sua recente notorietà è dovuta “di riflesso” al gruppo The Thing, dove Ingebrigt suona. Il loro set, già testimoniato su disco, è basato soprattutto sulla fisicità del basso di Ingebrigt, che permette a Joe lunghe esposizioni di note, grazie anche all’uso della respirazione circolare. Talvolta tali esposizioni risultano tediose, in particolare al sax alto, ma molto efficaci con la cornetta. Mentre al sax soprano rimane sempre vivo il riferimento di Steve Lacy, e quindi difficile riuscire a creare qualcosa di nuovo. In ogni caso la presenza di Ingebrigt, attualmente il miglior bassista in circolazione, permette a qualsiasi solista di improvvisare liberamente e di dare sempre un solido appoggio.

A seguire, l’ottetto di Adrian Lane, o meglio, l’orchestra, come viene chiamata. Esiste un precedente: l’ottetto di Gil Evans (1978), anch’esso definito orchestra anche se non lo era, ma la potenza di suono che ne scaturiva era proprio quella di un’orchestra. Trasportata dalla cavata del basso del leader, i riferimenti a Mingus non sono casuali: ci troviamo di fronte alla migliore orchestra, forse unica, che sa coniugare e condensare tutta la storia del jazz. Arrangiamenti swinganti con assoli avanguardistici, sottofondi blues e temi mainstream: ecco spiegata questa orchestra che dopo tre registrazioni embrionali culmina in un capolavoro (da considerare in una prossima recensione), ‘Ashcan Ratings’, edito dalla Clean Feed. Ottimi tutti i solisti, ma da citare soprattutto Matt Bauder al baritono e Reut Regev al trombone, oltre al leader Adam Lane al basso; forse leggermente sotto le aspettative Nate Wooley alla tromba. Segnatevela: ADAM LANE’s Full Throttle Orchestra… non ve ne pentirete!

29 Giugno di nuovo a Udine per seguire il concerto di Pharoah Sanders in quartetto con l’ottimo William Henderson al piano, suo partner abituale. La problematica amplificazione ha fatto perdere in parte la magica atmosfera con la quale Pharoah inizia i concerti ed è caratteristica della sua musica. Risolto il problema, il concerto si è svolto senza intoppi con una scaletta efficace. Pharoah non ha chiaramente più l’urlo belluino degli inizi di carriera, anche se nel brano di apertura qualche sovracuto si è sentito, comunque rimane una buonissima impostazione, con un leggero vibrato che rende riconoscibile e inconfondibile la sua voce. La chiusura del concerto con ‘The Creator Has A Master Plan’, brano contenuto nello storico ‘Karma’, del 1969 ha emozionato, sottoscritto compreso, i molti spettatori presenti in Piazza del Castello.

30 giugno a Ljubljana per la giornata conclusiva. Non avendo visto la grandiosa (così mi è stato riportato) performance in solitaria di Peter Evans alla tromba la sera del 29, le aspettative per quello che sulla carta doveva essere un grande evento, il doppio duo Trumpet & Drums (cioè Peter Evans e Nate Wooley alle trombe e Jim Black e Paul Lytton alla batteria e percussioni) erano forti. Ed ecco la più grande delusione di questo festival: un’accozzaglia di squittii, iPad e rumori vari senza senso di continuità e neanche di convinzione. Un bruttissimo progetto, che ha entusiasmato alcuni spettatori (!) con richiesta di bis, che fortunatamente non è stata esaudita. E pensare che negli anni ’70 alcuni musicisti italiani che facevano delle performance del genere venivano tacciati di essere incapaci di suonare.

Con un grande delusione, mi avvicino al Giardino Krizanke, una sala all’aperto coperta con un grandissimo telone, dove si svolgerà il clou del Festival. Si apre con i Diagnostic di Ibrahim Maalouf, trombettista francese con discendenze libanesi, legato alla sue radici ma che con il jazz c’entra poco o nulla. Si è sentita una buona musica fusion con influenze pop e soul e tradizioni arabe, che ha entusiasmato il numeroso pubblico con due, eccessivi, bis.

Ed ecco poi l’evento del Festival: la prima mondiale di Neneh Cherry con il gruppo The Thing. ‘The Cherry Thing’ è anche il titolo dell’album, preceduto da una grande promozione con il pezzo ‘Dream Baby Dream’, e così il cerchio si chiude: ‘The Thing’ è un pezzo di Don Cherry (pubblicato nel disco ‘Where Is Brooklyn’) e Neneh era figliastra proprio di Don. Aspettative alle stelle dunque, ma anche una grossa paura di veder cadere un gruppo che negli ultimi 10 anni ha realizzato cose importantissime. L’inizio è da The Thing: grandissimo tappeto sonoro di Paal Nilssen-Love alla batteria e Ingebrigt Håker Flaten al basso, Mats Gustafsson al baritono che improvvisa assieme alla voce di Neneh e poi come per magia, sul riff del baritono, ecco partire ‘Too Tough To Die’ ad una velocità supersonica! E poi ‘Cashback’ e la citata ‘Dream Baby Dream’, per finire con la stupenda ‘What Reason Could I Give’, in origine cantata da Asha Puthli sul disco di Ornette Coleman ‘Science Fiction’. Un concerto energico, esplosivo, che ti lascia al tappeto, come d’altronde ogni esibizione dei The Thing. L’album non rispecchia quello che è successo a Ljubljana, e non so se questa collaborazione andrà ancora avanti, ma intanto godiamocela anche solo su disco.

Certo che finire il festival dopo un concerto del genere era dura, ma John Scofield ha dimostrato che oltre alla tecnica sopraffina riesce ancora a suonare un jazz di alta classe, senza eccessivi virtuosismi e dialogando benissimo con Kurt Rosenwinkel all’altra chitarra, suo allievo di un tempo. Il quartetto Hollowbody con Ben Street al basso e Bill Stewart alla batteria esegue principalmente musica straight, ma piacevole e con classe, e dopo l’esibizione di Cherry & The Thing ci voleva. Grandi applausi di una platea entusiasta.

Concludendo, alcune piccole considerazioni: Udin&Jazz ha inserito buone proposte su un programma che però presentava eventi che con il jazz non c’entravano affatto, e l’orario di svolgimento dei concerti in Piazza Castello non era favorevolissimo: alle 7 di sera a Giugno il sole è ancora alto. A Ljubljana un programma variegato come al solito: buona organizzazione e sia il Klub CD che lo Krizanke sono ottimali per lo svolgimento dei concerti… Forse un po’ meno birra aiuterebbe quelli che vanno ai concerti per il gusto di andarci a sentirli meglio. (Mau)

Altre foto disponibili qui:

UDIN&JAZZ: http://www.flickr.com/photos/mau1961/sets/72157630525671450/

LJUBLJANA: http://www.flickr.com/photos/mau1961/sets/72157630508607792/

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