FREE FALL JAZZ

La lista dei brani è roba quasi surreale, fattore che ha contribuito non poco ad alzare l’hype verso il disco, e questa di solito finisce col non essere mai una cosa troppo buona. In sostanza: prendi gente che non si vede da un pezzo (Neneh Cherry), gente che si vede fin troppo (l’onnipresente sax di Mats Gustafsson, in questo caso coi casinari The Thing), e la metti alle prese con un paio di originali e un po’ di roba pescata dalle tasche di idoli jazz come Don Cherry e Ornette Coleman, ma anche di brutti ceffi come Madvillain (!), Stooges (!!) o Suicide (altra scarica di punti esclamativi a piacere). Rock e dintorni d’altronde non sono territori inesplorati per The Thing, che (per dire) sul recente ‘Metal’ coverizzano i Lightning Bolt e in passato hanno fatto comunella con rumoristi tipo Thurston Moore e Jim O’Rourke. Potremmo poi parlare anche di cerchio che si chiude, visto che Gustafsson e soci si coalizzano in origine per tributare proprio Don Cherry, che di Neneh, di certo saprete, era il patrigno.

Intanto chiariamo un paio di cose: nonostante i nomi coinvolti, ‘The Cherry Thing’ non è né un disco free jazz con una donna alla voce, né un disco r&b/funk/hip hop con dei jazzisti ad accompagnare. I nostri riescono nel compito più difficile e vanno oltre la semplice joint venture, codificando una cifra stilistica personale capace di rendere omogeneo un lavoro che parte da basi così frammentarie. Musicalmente siamo dalle parti di un avant-jazz dalle atmosfere crepuscolari, che non perde mai troppo di vista la forma canzone e con essa certa sensibilità pop, ovvio retaggio di Neneh Cherry: ‘Cashback’, originale composto da quest’ultima, è forse la sintesi  più “equilibrata” e rappresentativa. Si parte da qui, poi s’incontrano derive più opprimenti (‘Too Tough To Die’ di Martina Topley-Bird, con un clamoroso lavoro della sezione ritmica che parte in sordina e poco a poco aumenta d’intensità), stranianti (la spettacolare ‘Dream Baby Dream’ dei Suicide, con strati di fiati che s’impongono mentre la melodia viene ripetuta ossessivamente), più tipicamente free jazz (la coda di ‘Dirt’ degli Stooges, remake che suona più violento dell’originale: micidiali i colpi di Ingebrigt Haker Flaten al contrabbasso), o perfino più tranquille, come ‘What Reason Could I Give’, uno dei rari momenti cantati nel repertorio di Ornette Coleman, scelta perfetta per chiudere  il programma, con la Cherry che raccoglie con classe il testimone della raffinata Asha Puthli, che prestò la sua voce alla versione originale.

‘The Cherry Thing’ convince, dunque, e tiene fede alle alte aspettative che portava con sé, cosa di questi tempi tutt’altro che scontata: gli amanti delle sonorità “di confine” apprezzeranno senza remore, ma un ascolto sarebbe d’uopo per tutti. La speranza è che non resti un episodio isolato. (Nico Toscani)

Comments are closed.