FREE FALL JAZZ

Chi ci legge sarà di certo familiare col nome di Carlo Cimino: è uno “dei nostri”. Oltre ad aiutarci ad imbrattare queste pagine però, il buon Carlo suona anche il contrabbasso con gli Amanita, il cui debutto ‘Gente A Sud’ (Zone Di Musica, 2011) si è rivelato proprio un bel dischetto. E non fate i malpensanti: non lo diciamo “perché è un amico”, anzi, sarebbe stato un vero peccato non parlarvene solo per questo. Assieme a lui ci sono il chitarrista Raul Gagliardi e il batterista Maurizio Mirabelli, a chiudere un triangolo che può sembrare un limite solo ai meno attenti: “La scelta del trio è anche indirizzata verso possibili aperture in futuro: possibili ospiti che proprio una formazione come questa ti permette di accogliere senza nessun problema. A volte capita di suonare con degli strumenti a fiato e la cosa non ci dispiace affatto, anzi!”. Il loro è un jazz dalle sonorità “delicate” e a tratti persino malinconiche, ma capace anche della zampata graffiante al momento opportuno; protagonista è soprattutto l’interazione tra la compatta sezione ritmica (che pure si ritaglia i suoi spazi in prima fila) e la solista di Gagliardi, il cui tocco mi ricorda in parte quello del veterano Jim Hall: “Massimo rispetto per lui – precisa il chitarrista – ma non vi è un unico riferimento chitarristico. Apprezzo molti chitarristi diversi: da Wes Montgomery a Scofield, da Frisell a Django, da Metheny a Rosenwinckel, ma ascolto anche musica priva di chitarra e non mi cambia molto. Di solito valuto la musica pezzo per pezzo, e nel gusto una parte importante la occupa la composizione in sé. Non mi pongo tanti problemi se un pezzo viene dal rock o dal pop, o se è cantato o strumentale”. E infatti le due riletture presentate in scaletta sono ulteriore testimonianza di influenze musicali piuttosto varie. A scatola chiusa ‘Enjoy The Silence’ e ‘Centro Di Gravità Permanente’ sembrano scelte banali, due brani che negli anni abbiamo sentito riproposti in tutte le salse, eppure gli Amanita riescono a “riverniciarli” in maniera del tutto personale, trasformando l’ovvio in qualcosa di stimolante: “Ho sempre trovato molto interessante la strofa di ‘Centro…’ – spiega Raul – Allo stesso modo ‘Enjoy The Silence’ ha un ‘quid’ compositivo che mi affascina”. “Poi avevamo bisogno di un brano ‘morbido’, con le spazzole, ed ‘Enjoy…’ era l’ideale”, aggiunge Maurizio. “I brani non originali che proponiamo rispondono a due criteri – gli fa eco Carlo – Che siano molto famosi e che piacciano a tutti e tre: è una scelta. Come nella tradizione del jazz, in cui i musicisti suonano gli standard che amano e che la gente conosce: gli standard della nostra generazione in Italia crediamo siano questi. Dal vivo suoniamo anche temi dei Police, di Marley, di Paolo Conte…”. Proprio il palco sembra la dimensione più naturale del gruppo, tanto da incidere l’intero album in presa diretta. Se i grandi del passato lo facevano per sopperire alle spartane tecnologie dell’epoca, per loro è invece un modo per catturare fedelmente l’intensità degli spettacoli, in verità interessanti anche dal punto di vista del “contorno”: “A volte parlo molto – racconta il contrabbassista – Mi piace comunicare col pubblico, renderlo partecipe delle nostre piccole storie anche in modo non propriamente musicale. Poi, se esagero, Maurizio e Raul cominciano a prendermi in giro e capisco che è l’ora di tacere. L’uso del megafono parte dall’esigenza di farmi sentire senza microfono: suoniamo spesso con batteria in acustico e due amplificatori, quindi niente microfoni e niente impianto, mica potevo mettermi ad urlare ogni volta? (risate nda.) Da qui il megafono, che si è rivelato una scelta efficace per comunicare nonché un piccolo ‘tocco teatrale’. Nella stessa direzione si colloca la nostra bandiera: non sempre si suona in posti belli e suggestivi e può capitare come ‘sfondo’ un freddo muro di cemento o peggio ancora una parete bianca. Per ovviare a questo usiamo una grande bandiera con il nostro logo: ci fa da ‘scenografia’. Spesso poi suoniamo indossando le nostre magliette col fungo, e ovviamente abbiamo fatto ‘dipingere’ il logo anche sulla pelle della cassa della batteria, come si faceva negli anni ’60…”. Molte delle critiche positive ricevute sono concordi nel sottolineare una certa componente “mediterranea” nel loro suono, quasi fosse eredità naturale della loro provenienza cosentina, di quel retaggio meridionale richiamato già dal titolo dell’album: “Nonostante la sua posizione periferica rispetto a centri più grossi – spiegano –  Cosenza è una città che esprime una certa vivacità culturale e non è difficile conoscersi ed organizzarsi per creare qualcosa. Non so se ci sono delle influenze che passino direttamente dalla geografia alla musica, ma il posto in cui sei nato fa parte di te, di tutto ciò che fai: anche non volendo esce sempre fuori un accento, un ricordo, un’atmosfera. Magari aleggia lo spirito di un brigante del Pollino o di un lupo Silano… Chi lo sa?”. Il Pollino, tra l’altro, è meta tipica per i “cacciatori” di funghi, i tre musicisti però giurano si tratti di un caso che poco c’entra con la nascita del loro nome, ispirato proprio a un fungo che in alcune varianti ha effetti allucinogeni: “Avevamo un brano dal tema corto e cattivo, quello che attualmente s’intitola ‘Amanita’, e volevamo inserirlo in scaletta come un fungo che spuntasse all’improvviso. Passando in rassegna i nomi dei funghi più comunemente noti nessuno ci suonava bene: Porcino? Rosito? Mazza di Tamburo? La scelta cadde su Amanita, anche perché richiamava la possibilità di entrare in altre dimensioni, come succede in musica”. Certo però che Mazza di Tamburo…

http://www.myspace.com/amanitajazz

(Intervista raccolta da Nico Toscani)

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