FREE FALL JAZZ

Due settimane fa c’è stato un interessante dibattito su jazz e informazione. L’avvio l’ha dato A Proposito di Jazz con alcune recensioni dell’appena trascorso Festival di Bergamo. Recensioni che hanno lasciato interdetti alcuni lettori e che hanno dato l’avvio a una discussione interessante, principalmente su Mondo Jazz (post 1, post 2, post 3 e relativi commenti), con una piccola coda su Mi Piace Il Jazz. Il putiferio vero e proprio nasce quando il nuovo direttore di Musica Jazz, nei commenti, ha detto che un pezzo del genere lui non l’avrebbe mai pubblicato. E’ la nuova incarnazione di un vecchio e annoso problema della libertà del web, quell’immensa distesa disseminata d’informazione gratuita ma in cui occorre tanta cautela e spirito critico per separare il grano dal loglio (io non ci riuscirei: non ho mai visto in vita mia il loglio). La questione alla fine è tutta qui, generalizzando un po’ in fretta: web vs. carta stampata. Ovvero, quale ramo della “critica jazz” sia più autorevole nel 2012, quello tradizionale della carta stampa e delle riviste (in Italia due, Musica Jazz e JazzIt), e quello dei siti, dei blog, delle webzine, di cui pure noialtri facciamo parte. Messa così parrebbe una difesa, noi parte lesa che attacchiamo la cattiva carta stampata. In realtà ci sono alcuni luoghi comuni che sarebbe il caso di polverizzare, sul tema dell’autorevolezza.

1) L’autorevolezza si guadagna e si mantiene.
Se è vero che la grande democrazia della rete permette a tutti, e con spese irrisorie, di metter su un sito su qualsiasi argomento, è anche vero che l’autorevolezza del sito non è affatto automatica. Lo standard ISO9000 dell’autorevolezza non esiste, ma almeno una condizione necessaria sì: un media che faccia, anche nel suo piccolo, opinione deve essere intellettualmente onesto e competente. Sono due cose che vanno di pari passo. Essere intellettualmente onesto già circorscrive l’ambito della tua competenza, e questo vuol dire molto. Se ognuno è libero di dire la sua opinione, non tutte le opinioni hanno lo stesso peso: su un argomento specifico, quelle informate e competenti pesano di più. E per valutare la competenza (siamo da capo), bisogna valutare caso per caso, senza affidarsi ad automatismi del tipo “web indipendente – rivista corrotta” o “web chiacchiere da bar – rivista seria e professionale”.

2) La condiscendenza ipocrita è da frustate.
Non si deve ritenere automaticamente meritevole e autorevole la redazione di una rivista, ma nemmeno perdonare tutto al blog o alla webzine solo perché poverini lo fanno per passione e non vedono una lira (come se poi una rivista pagasse chissà quanto). Una stronzata resta tale sia che la scriva il critico di preclara nomea sia che la scriva il blogger, e nessuna delle due dovrebbe avere scusanti. Spesso si afferma che la carta stampata è obsoleta e la critica muffita, soprattutto in Italia: per dare sostanza a queste affermazioni bisogna che il blog e la webzine per prime si preoccupino di avere contenuti all’altezza, coerentemente con la linea editoriale scelta, e non buttino due cose lì tanto per con la scusa “tanto è solo un hobby, cattivi, non picchiatemi”. Una volta gettato il sasso, non si nasconde il cavalcavia. E’ una questione di credibilità. Potremmo a questo punto definire, fra il serio e il molto faceto, credibilità = competenza/onestà intellettuale.

3) Una linea editoriale serve.
Sì, anche sul web. Il jazz è un mondo vastissimo, oggi più che mai, e non si può parlare di tutto. Se siamo intellettualmente onesti, siamo competenti e ci teniamo a essere pure credibili, in modo da essere considerati via via un po’ autorevoli per la soddisfazione del nostro narcisismo, è meglio selezionare con cura gli argomenti e parlare di ciò che, molto onestamente, conosciamo. E nel modo che riteniamo più adatto: se una persona preferisce fare un sito dove si commentano notizie e si mettono in evidenza post e recensioni anche altrui, operando una selezione nel diluvio di post giornalieri, ben venga – anzi, ci dà una mano, e non è vero che non contribuisce a nulla.

A questo punto, detto tutto ciò, noi di FFJ da che parte stiamo, chi siamo, che vogliamo? Beh, non ci nascondiamo dietro a un dito: quando abbiamo deciso di tirare su la webza, è stato perché di fatto non ci piaceva molto di quello che vedevamo in giro, a partire da miriadi di siti di ex rockettari che ti rifilano le solite ciance su ‘Kind Of Blue’ e ‘A Love Supreme’. Che palle, dove si vuole andare, ripetendo sempre i soliti discorsi sui soliti dischi che tutti conoscono e su cui è facile preparare un pezzo per cui basta rimasticare qualche altro articolo facilmente reperibile online, in un circuito tossico senza fine? Per non parlare dell’assurdo provincialismo di una stampa che ormai esalta quasi a prescindere ogni uscita nostrana. Io personalmente amo su tutti il jazz di marca americana, a partire da quel mainstream che da questo lato dell’Atlantico ha scarsa, scarsissima considerazione. Il che mi pare un tantinello assurdo visto che si tratta del jazz per antonomasia, eppure giovani fenomeni come Christian Scott o Ambrose Akinmusire qui da noi hanno meno attenzione del festival provinciale di turno. Di conseguenza, constatato che la critica nostrana di queste cose se ne frega, ho deciso di farlo io. L’impulso, alla fine, è sempre il solito, trasmettere alla gente la passione per quello che ti appassiona. Trovo orrenda la musica stile ECM, e appena vedo quelle copertine in bianco e nero coi salmoni e i fiordi e le renne mi viene la nausea. Questa musica, mi pare evidente, piace a molte persone, visto il gran numero di adepti. Dovrei convincerli che ascoltano merda? No, non ne vale la pena. Penso sia più utile dedicare tempo e fatica a far conoscere ciò che mi piace e ritengo meritevole di attenzione, al meglio delle mie possibilità; meglio mettere in luce il talento di Jimmy Greene, per dire, piuttosto che demolire le uscite di Jan Garbarek. Sono sicuro che pure i miei colleghi vi farebbero un discorso molto simile.


In conclusione, c’è abbastanza spazio per tutti. Sta a noi fare del nostro meglio e dare ai lettori buoni motivi per essere seguiti. Le guerre fra poveracci fanno ridere i polli morti.
(Negrodeath)

Comments are closed.