FREE FALL JAZZ

Da quando abbiamo aperto i battenti, su queste pagine si è parlato di Bill Cosby praticamente in tutte le salse. Nonostante la sovraesposizione, credetemi se dico che fino adesso non abbiamo ancora fatto luce sul motivo che già da solo potrebbe giustificare la presenza dell’entertainer americano in questa sede: ‘Badfoot Brown & The Bunions Bradford Funeral & Marching Band’. Nome improbabile, ma non è un complesso: si tratta in realtà del titolo di un disco originariamente stampato nel 1971 dalla UNI (sottoetichetta della MCA), prima prova strettamente musicale del futuro Dottor Robinson dopo una manciata di album spoken word comici e un paio di dischi in cui cantava successi rhythm’n’blues dai testi riveduti e corretti.

Bill Cosby suona il Rhodes ed è autore di tutte le musiche, ma l’uscita, a quarant’anni di distanza, resta ancora avvolta da una piccola cappa di mistero: nell’album non appare alcun elenco dei credits, dunque è non è dato sapere con precisione chi altri abbia suonato cosa. Voci più o meno attendibili confermano la presenza di Bobby Hayes al basso e del grande Big Black (no, non c’entra Steve Albini) alle percussioni, ma sul resto l’enigma è totale. Volendo restare nel campo alle semplici supposizioni, potrebbero essere coinvolti grossomodo gli stessi musicisti, tra i quali Joe Henderson e Walter Bishop Jr, che un anno dopo replicheranno con un disco dal titolo quasi identico a questo (al quale manca la seconda “&” nel titolo; Bill Cosby vi figurerà solo come autore).

‘Badfoot Brown…’  comunque resta, a suo modo, un piccolo, sconosciuto pezzo di storia, in primo luogo per il modo di porsi nei confronti del tessuto sociale di quei tempi: le note di copertina sono corredate infatti da un lungo scritto dello stesso Cosby dedicato a Martin Luther King, il cui assassinio all’epoca è ancora storia recente. Si tratta dell’ennesima testimonianza del ruolo di prim’ordine recitato dalla musica (jazz in particolare) nell’ambito delle lotte per i diritti civili tra i ’60 e i ’70. Proprio la morte di King sarà una delle scintille innescanti il progetto: la prima facciata dell’album è interamente occupata da un brano (di circa 15 minuti) intitolato, non a caso, ‘Martin’s Funeral’. L’ipotetica marcia funebre per il compianto attivista è un jazz funk elettrico dichiaratamente ispirato al Miles Davis di quegli anni: introdotto un ipnotico giro di basso, il brano è un gioco di addizioni, con strati e strati di nuovi strumenti (piano, chitarre, fiati) che si sovrappongono con costante prepotenza. Almeno un paio di volte tutto si ferma e il gioco riparte da capo, sfociando dopo una decina di minuti in un florilegio percussionistico che conduce al climax, stavolta sul serio. ‘Hybish Shybish’, sul lato B, riprende la formula con la lancetta leggermente più protesa verso il lato funk/rock dell’equazione (diciamo da Eddie Henderson a Sly Stone) ed intatta efficacia.

In sintesi, uno dei rari casi in cui il passaggio alla musica di un personaggio televisivo risulta credibile e produce buoni risultati. Tra l’altro, dopo anni di reperibilità più o meno ardua, è stato finalmente ristampato in CD nel 2008 dalla Dusty Groove, dunque i curiosi potranno agguantarne una copia senza neanche troppi patemi. Un motivo in più. (Nico Toscani)

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