FREE FALL JAZZ

Il jazz e la musica cubana intrattengono una relazione fruttuosa da molti anni, ormai, per lo meno da quando Dizzy Gillespie fondò la sua orchestra sul finire degli anni ’40, dando inizio all’afro-cuban jazz. Così, l’idea di una band dedita al jazz di influenze cubane non è sorprendente di per sé, settanta anni dopo ‘Manteca’, ‘Tin Tin Deo’ e compagnia. Venendo a ‘Ninety Miles’, si tratta di un progetto che vede schierati tre giovani talenti del jazz contemporaneo (Christian Scott alla tromba, David Sanchez al tenore e Stefon Harris al vibrafono) alle prese con sonorità cubane. Sarebbe stato facile chiamare Gonzalo Rubalcaba, per esempio, e affidare a lui e a Sanchez (che esplora da sempre musica cubano-caraibica nei suoi album) la scrittura di materiale in tema. La via scelta dai tre americani invece è stata più avventurosa: andare di persona a Cuba per incidere con musicisti del posto ancora sconosciuti.

‘Ninety Miles’ vede coinvolte due diverse sezioni ritmiche (piano, contrabbasso, batteria, percussioni) guidate dai rispettivi pianisti (Rember Duarte, Harold Lòpez-Nussa) che contribuiscono al disco con altrettanti pezzi originali, mentre gli altri sono a firma di Sanchez e Harris – di quest’ultimo viene ripresa ‘Black Action Figure’, dal disco omonimo, che qui perde i suoi connotati cameristici per esplodere in un vivace post-bop dai ritmi trascinanti e con fiati in gran spolvero. ‘Nenguelero’, la funky e modernissima (il basso elettrico, in questo brano, dà tutt’altro tipo di spinta) ‘Congo’, le esplosive ‘And This Too Shall Pass’ (un’urgenza da Jazz Messengers) e ‘Brown Belle Blues’ (un impressionante lavoro di tromba), gli irresistibili ritmi salsa di ‘E’cha’ rappresentano al meglio il lato esuberante di questo album. ‘The Forgotten Ones’ vede impegnati i soli Sanchez ed Harris ed è un pezzo misterioso ed etereo, allusivo e carico di suggestione. Lungo il corso del disco i musicisti si prendono assolo con la melodia in primo piano; Christian Scott tra l’altro non usa mai la sordina e il suo originale soffio da Ben Webster della tromba per suonare linee vigorose, scintillanti.

Temi eccellenti e interplay di primissimo livello rendono questo disco una vera delizia. Latin jazz, dunque? No, ed è importante. In generale, ‘Ninety Miles’ non suona esotico, ma profondamente urbano. Il suono del quartiere di una grande città dove giovani con l’orecchio imbevuto di hip hop e funk si trovano a suonare jazz con musicisti cubani. Speriamo che si tratti del primo capitolo di una lunga storia! (Negrodeath)

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