Qualche domandina per conoscere Note Di Colore, sigla dietro la quale si annida gente che ha l’ardire di proporre eventi jazz al tempo della crisi; e, come se non bastasse, cerca anche di presentare quei musicisti e quei gruppi che qualcuno ancora si ostina a definire volgarmente “emergenti”. Ecco cosa ne è uscito fuori.
Ciao Note di Colore! Chi si “nasconde” lì dietro? Quanti siete? Cosa fate?
Hai detto bene: si “nasconde”. In effetti tendiamo sempre a restare dietro le quinte: è un po’ il nostro stile, come credo dovrebbe fare un organizzatore che voglia essere professionale, lasciando spazio ai veri protagonisti delle iniziative, che sono la musica, l’arte, gli artisti. Dietro a Note si celano due sole persone: io, Manuela Angelini, e Francesco Re, compagni nella vita e nel lavoro. Posso garantire che anche due sole persone riescono a smuovere montagne se credono in qualcosa! Viviamo nelle Marche, nella città di San Benedetto del Tronto (AP), un bel posto di mare che crediamo abbia molte potenzialità da sfruttare per il nostro lavoro. Entrambi proveniamo dall’ambiente giuridico, laureati in legge – io poi, non paga, ho conseguito una seconda laurea in lettere-discipline della musica e dello spettacolo – abbiamo da sempre coltivato la comune passione per la musica fin dagli anni universitari. Dopo la laurea, alcune esperienze lavorative nel settore hanno fortificato questa passione e ci hanno spinto a fare il passo: creare noi un’organizzazione che si occupasse di eventi musicali, teatrali e artistici. Un po’ di esperienza l’avevamo fatta, la conoscenza delle leggi in questo campo aiuta moltissimo, la passione c’è sempre stata e ci è sembrato che gli ingredienti ci fossero tutti. E così abbiamo creato Note di Colore, un nome che in sé contiene diversi significati: una nota di colore vuole essere ogni nostra iniziativa nel grigiore della vita quotidiana, ma “di colore” è anche un riferimento al jazz, la nostra più grande passione, e alle sue origini, che, come tutti sanno, risalgono ai canti dei neri americani ridotti in schiavitù. Quello che facciamo è un lavoro di creatività, innanzitutto. Lungi dal pensare che chi organizza un concerto, un festival o un evento in genere debba soltanto mettere insieme e coordinare vari fattori, in realtà si deve porre alla base di qualsiasi iniziativa un progetto artistico coerente, specialmente se si tratta di rassegne, programmazioni, eventi che si ripetono nel tempo insomma, altrimenti si rischia che l’iniziativa vada a morire in breve tempo. Quindi ogni cosa va ideata, pensata artisticamente ed economicamente e poi messa in pratica. Certo, la direzione artistica è la parte più gratificante, ma non mi vergogno a dire che quando serve siamo in prima linea anche per attaccare locandine o distribuire volantini, o per fare biglietteria: tutto! Tra i nostri progetti amo ricordare il festiva Oltre Il Blu, che si svolge in estate nella nostra città e si caratterizza per una programmazione attenta alle nuove generazioni del panorama jazzistico. Sono davvero rare le manifestazioni e le rassegne dedicate alle blue notes che riescono a coinvolgere direttamente i sempre più numerosi e validissimi giovani jazzisti italiani. In questa direzione si muove l’innovativa idea del festival, nell’intento di regalare nuove possibilità espressive ad una musica, il jazz, che spesso celebra se stessa e i propri riti senza riuscire ad esprimere qualcosa di inaudito. Crediamo che un festival debba rappresentare un’occasione di stimolo e di crescita sia per il pubblico che per gli artisti, dando spazio anche a musicisti meno noti e di diversa provenienza. Basta infatti navigare un po’ in internet per accorgersi del “malumore” di gran parte del pubblico verso le programmazioni di molti festival, i quali si trasformano spesso in grandi contenitori dov’è possibile trovare davvero di tutto, anche proposte che col jazz hanno ben poco a che vedere. E dunque la scelta di Oltre Il blu è quella della coerenza e della novità: in ognuna delle serate vengono presentati, infatti, nuovi progetti discografici, album appena usciti o in uscita a breve.
Organizzare eventi al tempo “della crisi” dev’essere cosa ardua. Come fate a far fronte all’attuale, depressa situazione economica?
Anche qui dici bene, è davvero impresa ardua. Usando un termine criminologico, bisogna avere un movente, una forte motivazione, fuor di metafora. E questa non è altro che l’attaccamento e la passione per ciò che fai, per quanto difficile e improbabile. Poi occorre una certa dose di perseveranza, per non scoraggiarsi ad ogni “no”, ad ogni “non ci sono fondi” e frasi del genere che oggi purtroppo sono all’ordine del giorno. Far fronte alla depressa situazione economica attuale non è cosa semplice, credo ci si possa riuscire soltanto con un radicale cambio di mentalità. Oggi molti enti, che fino a qualche anno fa erogavano fondi per qualsiasi iniziativa, non possono più far fronte a queste spese e i tagli alla cultura sono stati i primi. Credo che il rapporto fra Ente e Manifestazione sia sempre stato squilibrato: in passato venivano erogati troppi fondi per troppe manifestazioni e ci sono stati tanti sprechi. Oggi è il contrario, troppo pochi fondi per troppo poche manifestazione, un nuovo squilibrio che sconta quello precedente. Per cui esiste una reale esigenza di profondi cambiamenti a livello di sistema: un sistema culturale nuovo dovrebbe garantire almeno condizioni di ascolto e di fruizione sempre migliori, maggiori opportunità a giovani artisti; stimolare l’impulso verso la multimedialità e la commistione tra le arti, il rinnovato impegno nel campo della formazione, l’apertura verso musiche diverse (etnica, contemporanea, ecc.) fuori da ogni logica protezionistica, l’abbattimento dei costi, il mantenimento di una forte indipendenza dal potere politico. È un processo lungo che esige, nel frattempo, maggiore impegno e investimento privati ma anche una rieducazione del pubblico, dei fruitori finali. Nel nostro piccolo, l’impegno che ci siamo posti è quello di rischiare un po’ di più, ideare nuove formule, prendere spunto anche da ciò che si fa all’estero, creare delle sinergie, insomma abbandonare un po’ la mentalità “comoda” che ha dominato finora. C’è poi un ingrediente importante che ogni protagonista della cultura, da chi organizza a chi suona, alle maestranze, a chi ascolta dovrebbe riscoprire: la solidarietà, la fiducia reciproca, la convinzione di lavorare insieme per un progetto comune, cosa che un po’ si è persa lasciando spazio a rapporti freddi, competitivi, prevenuti.
Voi, tra le altre cose, gestite un blog dedicato al “nuovo jazz”: qual è il vostro punto di vista sul panorama musicale italiano?
Al panorama musicale/jazzistico italiano guardiamo con duplice interesse: siamo sempre a caccia di progetti validi da proporre e far conoscere sia nei live che nel nostro blog. L’uno alimenta l’altro, l’uno è un po’ la fase preparatoria dell’altro e viceversa. Il blog lo tengo io personalmente e in questo mi aiutano un buon orecchio e una buona penna (spero!). La cosa simpatica è che io curo i contenuti e Francesco, che secondo me poteva lavorare in pubblicità, mi trova i titoli! Ciò che accomuna il blog e la nostra programmazione è, come avrete capito, l’attenzione verso le avanguardie e il contemporaneo. Credo che il jazz italiano, da questo punto di vista, goda di ottima salute nel senso che ci sono tanti bravi musicisti che sperimentano, che cercano una propria identità, una propria originalità tentando e spesso riuscendo a trovare una linea riconoscibile. Il fascino di questa musica è proprio questo: non c’è un suono standard a cui bisogna cercare di uniformarsi, anzi, quello che può sembrare un difetto, un limite spesso diventa un arricchimento, diventa un timbro originale che ha a che fare con la voce strumentale o vocale di ogni singolo musicista. Molto incoraggiante è anche il fatto che c’è ormai, per il jazz italiano, un riconoscimento internazionale che forse un tempo mancava: negli anni settanta forse l’unico musicista conosciuto all’estero era Enrico Rava, il jazz ancora aveva una dimensione molto nazionale e soprattutto i musicisti si limitavano spesso a imitare il jazz americano. Ho l’impressione che questa musica in Italia abbia assunto una maggiore identità anche in senso italiano, forse dalla fine degli anni ‘70 primi anni ’80, anche se qui poi ci sono diverse scuole. Diversi jazzisti hanno contribuito molto al lavoro rispetto alle radici mediterranee che ci appartengono e che oggi, assieme ad altre influenze, sono entrate a pieno titolo a far parte del bagaglio a cui moltissimi musicisti attingono per le loro composizioni e improvvisazioni.
Decliniamo al futuro: cosa farete da grandi?
Cresceremo, naturalmente! Noi, i nostri progetti, le idee, le iniziative: farle diventare grandi, importanti. E vogliamo farlo insieme a tutti quelli che collaborano con noi, ai musicisti che incontriamo strada facendo. Ritrovarci, magari al decennale del festival, con loro divenuti famosi e navigati, che suonano come se stessero tra amici, davanti a un pubblico ormai abituato a scelte artistiche differenti, che si affida totalmente. Sogno o realtà? Tra 10 anni lo sapremo…
(Intervista a cura di Carlo Cimino)
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