È strano iniziare il 2012 con la recensione di un disco uscito più o meno alla fine del 2010? Forse. Ma se ci seguite saprete bene che qui non ci formalizziamo quando si tratta di consigliare un bel disco che per un motivo o per l’altro potreste aver perso. Di ‘Beneath Tones Floor’ in effetti non si è parlato tantissimo ed è un vero peccato, non solo per la qualità della musica, ma anche per premiare l’ottimo lavoro della No Business, attiva etichetta lituana con un occhio di riguardo per l’avantgarde che ha in catalogo più d’una proposta interessante.
L’inedito trio Thomas / Sirone / Wimberly poi stuzzica per tutta una serie di motivi: innanzitutto geograficamente, vista l’unione tra una sezione ritmica tipicamente east coast e un fiatista di stanza a L.A. come Oluyemi, ma anche in veste “documentaristica”, trattandosi con ogni probabilità dell’ultima incisione di Sirone in terra americana (i brani risalgono infatti al 2008, circa un anno prima della scomparsa del bassista). La musica si muove nei territori che ci si aspetterebbero dai nomi coinvolti, ossia un jazz privo di strutture formali e completamente devoto all’improvvisazione. Il tutto viene giocato prediligendo i suoni più “profondi”, e infatti a farla da padrone sono proprio il contrabbasso di Sirone e i fiati di Thomas, che risulta assai più incisivo e personale quando si cimenta col clarinetto basso e con l’oboe musette piuttosto che col sax soprano o il flauto. È proprio l’interazione tra i due musicisti a dominare gran parte del programma: da soli, in botta e risposta o anche all’unisono spaziano sempre in ambientazioni sonore ricche di bassi, lasciando emergere spesso e volentieri abbozzi melodici. Anche i momenti più tirati, in cui l’ancia regala qualche tipico “squeak” (‘Mystic Way’), restano comunque ben lontani da certo free jazz “caciarone” e fine a sé stesso. Il rischio, infine, è di sottovalutare il lavoro ritmico di Wimberly, che, mai troppo appariscente, segue come un’ombra il basso in incredibile simbiosi: di rado si lascia andare a qualche scorribanda (‘Heavenly Wisdom’), ma il suo pulsare tribale spesso e volentieri tinge il tutto di atmosfere quasi etniche.
Difficilmente Sirone avrebbe potuto chiudere in maniera migliore, e ovviamente non è mai troppo tardi per recuperarlo. (Nico Toscani)