FREE FALL JAZZ

Con ‘State Of Art’ il giovane contrabbassista Ben Williams fa la sua prima mossa da leader, dopo aver collaborato con gente del calibro di Cyrus Chestnut, Wynton Marsalis, Stefon Harris e Terence Blanchard ed essere uscito vincitore dal Thelonious Monk Institute nel 2009. Ma dopo tanto curriculum, cosa ci troviamo fra le mani? Beh, forse uno dei migliori esordi degli ultimi cinque anni!

L’ambito scelto da Williams è quello del jazz contemporaneo, sulla scia degli album straight di Russell Gunn e Stefon Harris: un sound fiammeggiante figlio delle evoluzioni moderne del suono post-bop, ricco di suggestioni e contaminazioni funk, hip hop e r&b che marchiano indelebilmente ritmi, melodie e arrangiamenti. L’apertura, affidata a ‘Home’, mette subito le cose in chiaro: aperta da un riff di chitarra asciutto e incalzante, innesca un groove solido e danzabile fra funk e hip hop, grazie all’ottima interazione fra le agili dita del leader, la batteria insistente e “robotica”del grande Jamire Williams, il piano Rhodes elegante e minimale di Gerald Clayton e la chitarra tagliente di Matt Stevens. Il tenore robusto di Marcus Strickland si inserisce perfettamente nel suono del gruppo, organico e intriso di soul. ‘The Moontrane’ è resa molto funky con un piacevole retrogusto anni ’70; il bel contralto dell’ospite Jaleel Shaw interagisce a dovere col titolare Strickland. C’è pure spazio per un breve solo di contrabbasso, che alleggerisce il suono del gruppo senza perdere impeto ritmico. ‘The Lee Morgan Story’ prosegue spedita su ritmi hip hop, con tanto di rapping a cura dell’emcee John Robinson contrappuntato dalla splendida tromba di Christian Scott: un bellissimo omaggio al grande trombettista di Philadelphia.

Questi tre brani inquadrano il sound di massima di ‘State Of Art’, ma Williams è abbastanza ambizioso da tentare anche altre vie. Trovano spazio episodi contemplativi come ‘Dawn Of A New Day’ e una versione davvero originale di ‘Moonlight In Vermont’, trasformata in una sorta di trip-hop enigmatico. ‘Little Susie’, preceduta da una bella intro di basso, è un brano di Michael Jackson che si trasforma in un toccante pezzo orchestrale, con un quartetto d’archi che complementa la band senza soffocarla e un Jaleel Shaw davvero eccellente al soprano. ‘November’ è un pezzo dai ritmi salsa, con un piano percussivo e silveriano (nel senso di Horace Silver, ovviamente) che incalza e stimola Strickland, alle prese con un assolo caloroso e coinvolgente. E l’adrenalina si mantiene alta pure con ‘Mr Dynamite’, sentito omaggio a James Brown attraverso un moderno hard bop a rotta di collo che filtra l’insegnamento di Art Blakey attraverso le moderne sonorità hip-hop-funk.

Detto che il resto dell’album non mostra cali di sorta, diamo un caloroso benvenuto a Ben Williams. L’esordio è di quelli col botto! (Negrodeath)

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