FREE FALL JAZZ

Organista 75enne newyorchese, Lonnie Smith (autodeclamatosi “doctor” agli albori del nuovo millennio) regna da oltre mezzo secolo come un maestro di innovazione e sperimentazione. Poco importa se è stato lontano dalla fida Blue Note Records per quarantasei anni. Quando vi è tornato per incidere Evolution, a fine 2015, ha subito abbracciato la causa dell’attuale presidente dell’etichetta, Don Was: presentare i futuri movimenti del jazz e allo stesso tempo onorare coloro che ne hanno forgiato la tradizione. Mastro creatore di groove e consumato showman, Smith ha pensato bene di registrare All in My Mind in una dimensione live perché, come afferma lui stesso, “è difficile catturare ciò che sento in questo momento in studio”. Lontano anni luce dalle leggerezze funky jazz con cui raccolse successi ed elogi fra anni Settanta e Ottanta, disinteressato all’obsoleta dimensione elettronica delle ritmiche acid (fra i cui principali fondatori è, spesso erroneamente, inserito), si presenta dal vivo in trio col chitarrista Jonathan Kreisberg e il batterista Johnathan Blake, già al suo fianco in ‘Evolution’, e assieme a loro costruisce un set musicale quasi caleidoscopico, vista la sorprendente scelta degli accostamenti stilistici qui proposti. ‘All In My Mind’ si apre infatti con un potente rendering di ‘JuJu’ di Wayne Shorter e salta da una galassia all’altra – calzante, in questo senso, la foto di copertina – ripescando prima la lenta, sognante ‘Devika’ dal repertorio del sassofonista underground Dave Hubbard (scomparso nel 2016 con appena un paio di album all’attivo) e poi ’50 Ways to Leave Your Lover’ di Paul Simon, sulla quale Blake e Kreisberg la fanno da padroni per quasi dieci minuti. A una rivisitazione vagamente prolissa di un vecchio brano del grande Tadd Dameron (‘On a misty night’) segue ‘Alhambra’, pezzo in cui il trio si riappropria delle recenti atmosfere di ‘Evolution’ e di un linguaggio esoterico che giusto il “Doctor” sa padroneggiare senza farlo suonare ridondante, pomposo o semplicemente ridicolo. È invecchiata molto bene anche la vecchia ‘All in My Mind’, incisa da Smith nel 1977 per Funk Reaction e adesso rigenerata grazie anche alla voce e alla presenza di Alicia Olatuja. Con ‘Up Jumped Spring’ (e chi possiede o ha anche soltanto ascoltato ‘Backlash’ di Freddie Hubbard sa di cosa si parla) il set torna alla dimensione originale, con il dottore che dirige divinamente chitarra e batteria in un’interpretazione che risuona della forza di quello che fu, per appena una stagione e un solo album, il Larry Young Trio. Un pezzo veloce ma delicato, perfetta chiosa per la rassegna di un vero stregone, uno che per oltre cinquant’anni di musica e ricerca non ha disdegnato di imboccare la via più difficile, quella che solo i veri grandi sanno intraprendere.
(Ferruccio Bellesi)

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