Christian Scott. Dove eravamo rimasti? Già , a ‘Ruler Rebel’, primo capitolo dell’ambiziosa Centennial Trilogy, dedicata ai temi dell’integrazione razziale e culturale nell’America del nuovo millennio. Se avete letto la recensione di ‘Ruler Rebel’, saprete che non ha suscitato in me impressioni particolarmente favorevoli, anzi. La speranza era piuttosto che i capitoli successivi ne prendessero le distanze, vista la piattezza e la noia che vi regnavano incontrastate. Purtroppo, puntuale come una bolletta, arriva il “purtroppo”, perché ‘Diaspora’ è sostanzialmente identico al predecessore. Talmente identico che è possibile descriverlo con un bel copia e incolla. Pronti? Via!“Sembra che l’unico interesse di Christian Scott sia stato quello di creare, su una serie di beat ripetitivi come pochi, un soundscape cupo e minaccioso in contrasto alle note della tromba, prolungate ed evocative… nelle intenzioni, perché in pratica il gioco annoia rapidamente, al punto che si direbbe quasi di ascoltare un album di remix di qualche soporifero musicista ECM di seconda fascia. E gli stessi concetti, tanto sonori quanto tematici (nel senso di società e attualità ), erano stati già affrontati con ben altro spessore nel bellissimo ‘Anthem’, che a questo punto vi consiglio di recuperare, nel caso vi mancasse, o riascoltare.”  Anche questa volta i pochi barlumi di vita arrivano dal flauto di Elena Pinderhughes e dai radi, ma indovinati, interventi del sax di Braxton Cook. Naturalmente, tutto il discorso può essere interpretato in maniera diametralmente opposta, perché se ‘Ruler Rebel’ vi ha entusiasmato ‘Diaspora’ vi colpirà al cuore. Potrebbe piacere anche a chi apprezza maestri dell’insipido e dell’inconcludente come Colin Stetson o i Supersilent. Personalmente, trovo questo sviluppo inconsistente e fallimentare, non mi aspetto certo un miracolo dal già annunciato ‘The Reckoning’, e vado a rimettere ‘Stretch Music’, o ‘Rewind That’, o ‘Yesterday You Said Tomorrow’, nello stereo.
(Negrodeath)