FREE FALL JAZZ

Chris ThileTempi duri per i puristi (se ancora esistono) del jazz. Le proposte intorno alla musica improvvisata considerano sempre più il jazz uno dei possibili linguaggi utilizzabili rispetto ad altri provenienti dai più svariati contesti culturali, per lo più mantenendo ancora una posizione centrale, altre volte paritaria, in altri casi subordinata, o persino del tutto assente. Sono i probabili effetti di un processo di generale globalizzazione culturale che perdura ormai da tempo e che in fondo ha visto il jazz essere, forse sin dalla sua nascita,  tra i precursori di ciò che più distintamente osserviamo oggi. Ciò non significa che tutte le commistioni musicali che si realizzano siano valide e di buona fattura e, men che meno, tutto possa essere considerato con l’etichetta “jazz”, come si tende un po’ troppo superficialmente a fare. In linea di massima le miscele linguistiche che paiono più interessanti e riuscite sono ancora quelle meno forzate e artificiose, ovvero, quelle che condividono una qualche prossimità culturale o una contiguità geografica tra loro.

Il duo Chris Thile e Brad Mehldau è probabilmente uno di questi casi: un incontro fugace e occasionale nel 2011, una serie di concerti in nove città nel 2013 e un altro ingaggio di due serate di successo nel 2015 sono sfociati in una rapida incursione in studio per fissare in questo doppio CD quello che stava accadendo. Si tratta di una proposta che va oltre la semplice provenienza dal mondo del jazz di Mehldau, o quella dal bluegrass del mandolino e la voce di Thile. Al di là di tali componenti primarie, la loro tavolozza risulta qui più variegata, dedicando altrettanto spazio al country, al song, al rock acustico di cantautori americani, ovviamente non tralasciando grandi figure come Bob Dylan e Joni Mitchell nel set di temi proposti. Insomma, pare proprio di ascoltare un ritratto musicale di un’America bianca vista sotto il filtro jazzistico dell’uno, e del bluegrass dell’altro. Operazione di sintesi mi pare riuscita, di due linguaggi musicali evidentemente conciliabili, anche per le ragioni suddette.

Oltre alle composizioni di cantautori come Elliott Smith (sfortunato ma valido cantautore americano del rock) in Independence Day, o David Rawlings & Gillian Welch in Scarlet Town, ciascuno contribuisce con proprie composizioni, in Tallahassee Junction e The Watcher, a cura del pianista, Noise Machine e Daughter of Eve da parte di Thile, oltre a risultare coautori dell’iniziale The Old Shade Tree. Personalmente, le preferenze vanno per i brani di Mehldau e quelli dei cantautori citati, contenenti interventi solistici del pianista molto swinganti, oltre ad evidenziare l’eccellente trattamento del tema di Dylan, Don’t Think Twice It’s Alright.

Nel complesso un incontro originale e riuscito che si lascia ascoltare senza annoiare anche l’orecchio jazzisticamente più esigente.
(Riccardo Facchi)

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