FREE FALL JAZZ

Se vi raccontano a colpi di “eureka” e dopo decenni di sedicenti “mitologie” che la Black Music non esiste, non dategli retta, sono solo opinioni come minimo discutibili, se non proprio balzane, magari dette con aria pseudo colta, ma sempre tali rimangono, e se invece di far spallucce vi verrà da pensare che sia il caso di dar retta a chi lo sostiene, solo perché immaginate abbia più competenze e conoscenze di voi, vi dico di non sottovalutarvi così tanto e provare ad ascoltare, anche solo ad esempio, un brano come quello che sto per proporvi, fidandovi delle vostre orecchie e non delle chiacchiere altrui, osservando la pronuncia, il suono e il feeling di quel gigante del sax tenore che è stato Stanley Turrentine, nero che più nero non si può, domandandovi se vi sia mai capitato di ascoltare, che so, un jazzista europeo o italiano che abbia suonato nel modo sotto proposto. Personalmente in 40 anni di jazz non mi è mai capitato.



Chissà cosa avrebbero pensato Miles Davis, Marvin Gaye, o Donny Hathaway se fossero oggi ancora in vita. A volte mi viene il dubbio che certi esegeti della materia, non abbiano mai varcato la soglia di una chiesa “nera” di Harlem nella loro vita, portando avanti tesi che negli Stati Uniti nemmeno verrebbero prese in considerazione. Il tutto, purtroppo, sembra far parte di un malcelato processo di espropriazione culturale e linguistica in corso, basato su un revisionismo tendenzioso e abbastanza pretenzioso, che non a caso ha cercato, un po’ di tempo fa e nella sua forma più volgarmente mistificatoria, di far passare per decisivo il contributo italiano alla nascita del jazz, rinfocolando il mito del mediocre italo-americano Nick La Rocca come padre del jazz, quando la cosa è stata chiarita per falsa già da decenni. Inutile dire che alla farlocca notizia è stata immediatamente data ampia diffusione dai media nazionali, servizio pubblico tv in testa, come se si trattasse di uno vero e proprio scoop sensazionale, anziché di una grossolana cialtroneria sin troppo facile da verificare e confutare.

Sempre gli stessi esegeti poi inconsapevolmente si contraddicono quando parlano di ”jazz italiano” dopo aver spiegato come sia errato legare i contributi musicali alle diverse etnie o aree geografiche (pare che il jazz, oibò, non sia per loro nato negli USA), bensì attribuibili solo alle diverse culture. Prendo atto che parlare di musica nera e cultura musicale afro-americana comporta una differenza sostanziale che pare sfuggirmi, ma evidentemente certi discorsi valgono solo quando in ballo ci sono gli afro-americani.

Se poi è vero come è vero che certo linguaggio è ormai di proprietà comune, magari occorrerebbe provare a domandarsi perché da noi non si sono manifestati musicisti con le caratteristiche di Louis Armstrong, Stevie Wonder, James Brown, Ray Charles, Bessie Smith, Aretha Franklin, o Michael Jackson e gruppi come Earth Wind &Fire, giusto per fare qualche eclatante esempio. Mistero buffo  penserebbe se fosse ancora vivo Dario Fo e quest’anno andrò tranquillo a Natale a sentirmi qualche coro gospel cantato in qualche chiesa di paese della mia provincia, rincuorato e sicuro che sentirò le stesse cose cantate nelle chiese di Harlem. Temo però che le mie orecchie, per esperienza già vissuta, non saranno molto d’accordo.
(Riccardo Facchi)

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