FREE FALL JAZZ

Sappiamo come Bob Weinstock della Prestige favorisse il formato delle jam session, che tanti capolavori hanno dato alla storia del jazz. Si radunano i musicisti, si preparano arrangiamenti essenziali, e via, si registra, con la massima semplicità, confidando nell’intesa fra i protagonisti e nella bontà del materiale. Più o meno questi devono essere i presupposti di ‘Very Saxy’, album del 1959 che ci pone di fronte ad un problema di attribuzione: Eddie “Lockjaw” Davis e la sua band ospitano tre tenori, oppure un album dei quattro sassofonisti? Le note suggeriscono la prima ipotesi, ma alla fine poco ci importa, perché l’album è eccezionale. Oltre alla già citata formazione di Davis (quella degli storici Cookbook, ovvero Shirley Scott all’hammond, George Duvivier al basso e Arthur Edgehill alla batteria) abbiamo infatti tre ospiti incredibili: i texani Arnett Cobb e Buddy Tate e il venerato maestro Coleman Hawkins, all’epoca già cinquantacinquenne ma ancora in splendida forma. Con simili premesse, sbagliare è impossibile, e infatti bastano le prime note della title track per spazzare via ogni esitazione. Si tratta di un blues ritmato e veloce, dove una sezione ritmica indiavolata spinge i sassofonisti a dare il massimo, mettendo in evidenza gli stili individuali in assoli di ugual durata; Davis, Cobb, la Scott, per finire con Tate e Hawkins, fanno faville, navigando il confine fra rhythm’n'blues, hard bop e soul jazz. E se Davis, Tate e Cobb ci danno dentro con energia viscerale e tutti i trucchi dello stile meridionale fatto di skronk sassofonistici e note piegate all’inverosmile, il più anziano Hawkins si fa avanti alla sua maniera, gentiluomo fra i più giovani gladiatori eppure autorevole (e ci mancherebbe) e a suo agio. Alzate il volume e fate sentire ‘Very Saxy’ pure ai vicini…
(Negrodeath)

Comments are closed.