FREE FALL JAZZ

“Una volta, al Cafè Bohemia, Alan passò accanto a Miles Davis. Entrambi indossavano giacche e pantaloni dello stesso stile. Miles disse: ‘Stai cercando di imitarmi!’. Alan gli rispose: ‘No: sei tu che stai cercando di imitarmi!’. Miles venne da me e iniziò a ridere come un matto: ‘Tuo fratello è davvero unico, amico…’.”

Così nelle note di copertina di ‘Orgasm’ Wayne Shorter ricorda suo fratello maggiore Alan. Non che la sua musica avesse molto in comune con Miles Davis, ma l’episodio rende in maniera abbastanza vivida il profilo di un personaggio perennemente sopra le righe e in costante opposizione a qualunque cosa gli sembri accademica o imposta. Una voglia di unicità che lo porterà persino ad abbandonare il sax, suo strumento d’origine, per differenziarsi da quel fratello che inizia a farsi un nome nella schiera dei volti nuovi del jazz. E infatti sia durante il periodo (grossomodo tra la metà dei ’60 e i primi ’70) presso le corti di Archie Shepp e Marion Brown, che in ‘Orgasm’, prima prova da leader datata 1969 (l’altra sarà ‘Tes Esat’ di un paio d’anni dopo), Alan Shorter suona il flicorno. Attorno a lui un manipolo di musicisti di assoluto spessore, sul cui successivo pedigree evitiamo di soffermarci: dal sassofono di un Gato Barbieri pre-rincoglionimento etnico a ben due sezioni ritmiche deluxe, la prima composta da Reggie Johnson e Rashied Ali (i quali abbandoneranno dopo la prima sessione a causa degli screzi di quest’ultimo col produttore Esmon Edwards), la seconda da Charlie Haden e Muhammad Ali.

Copertina della ristampa (1998) via Polygram.

‘Orgasm’ musicalmente è una bella sfida: arriva durante gli ultimi fuochi della new thing, in un momento in cui da una parte gente come Brotzmann spinge il free ai limiti di un parossismo anche fine a sé stesso e dall’altra Miles imbocca quella svolta elettrica dalla quale si svilupperà tutta la branchia fusion. Shorter decide di tentare una terza via, incanalando le improvvisazioni in tessuti sonori che, per quanto intricati, non perdono di vista la lezione del bop e preferiscono linee melodiche anche appena abbozzate piuttosto che l’assalto furioso e senza compromessi. Musica che in sostanza cerca di raccogliere l’eredità del primo Ornette Coleman (diciamo tra ‘The Shape Of Jazz To Come’ e ‘Change Of The Century’), tracciando un solco nel quale successivamente molti (seppur con le dovute differenze) s’inseriranno con buoni risultati (viene in mente ad esempio David S. Ware, figura guarda caso molto vicina ai fratelli Ali). Altre influenze vanno ricercate nel Dolphy di ‘Out To Lunch’ (le melodie ricorrenti dell’iniziale ‘Parabola’) come in Don Cherry (quando in ‘Rapids’ il flicorno viene abbandonato un attimo in favore della tromba), ma tutte le analogie vengono filtrate attraverso l’approccio diretto e senza fronzoli (cafone, se vogliamo) di Alan. E se entrambe le sezioni ritmiche colpiscono duro e si rivelano efficaci sia nei ritmi scavezzacollo sia quand’è il momento di tirare il fiato, chi fa un po’ la figura dell’anello debole è Gato Barbieri, specie quando (è il caso della title-track) parte per la tangente e cerca di “dirottare” le improvvisazioni verso lidi più estremi, sembrando un po’ fuori contesto.

La carriera di Alan Shorter si interromperà più o meno bruscamente qualche anno dopo: si dice fosse complicato avere a che fare con lui. Non sappiamo quanto sia vero. Ciò di cui siamo certi è la qualità di ‘Orgasm’, la cui riscoperta, perdonateci il solito cliché, sarebbe d’uopo. Da perfetta meteora, Shorter se n’è infine andato quasi in sordina, nel 1987: colpa di un problema all’aorta. Musica lasciata ai posteri ben poca, ma più che sufficiente a meritare un posticino tra le preferenze dei jazzisti più appassionati. (Nico Toscani)

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