FREE FALL JAZZ

Che Steve Lehman fosse un artista estremamente eterodosso si era capito già da tempo: il suo passato come studente di Anthony Braxton e Jackie McLean, insieme a una mole di ascolti eterogenei che spaziano dagli A Tribe Called Quest a Harry Partch, l’hanno portato nell’ultimo decennio a coniare un idioma originale e innovativo che rielabora l’avant-jazz alla luce della sua personale teoria compositiva dell’M-base. A questo si era aggiunto, negli ultimi eccellenti ‘Travail, Transformation, and Flow’ (2009) e ‘Mise en Abîme’ (2014), uno studio sulle possibilità di adottare le tecniche compositive dello spettralismo alla musica jazz, con risultati ulteriormente esotici.

Eppure, il nuovo ‘Sélébéyone’(pubblicato ancora una volta per la Pi) si rivela un colpo di scena anche per il suo più attento seguace. Seppur non sia di certo la prima volta che la sua passione per hip hop e musica elettronica abbiano sbocchi concreti nella sua musica (sample e turntable sono mezzi che ha utilizzato diverse volte nei suoi dischi da leader, e proprio una trasfigurata ‘Living in the World Today’ di GZA chiudeva ‘Travail, Transformation, and Flow’), era impossibile prevedere che il successore di ‘Mise en Abîme’ si spingesse così profondamente nell’esplorazione di tali influenze. Portando a compimento un progetto collaborativo di vecchia data con HPrizm (aka High Priest, nume tutelare dell’hip hop alternativo e membro fondatore dei seminali Antipop Consortium – che nel 2003 avevano collaborato con Matthew Shipp su ‘Antipop vs. Matthew Shipp’) e chiamando a sé anche il rapper Gaston Bandimic (stella emergente della scena hip hop senegalese, presentatagli solo pochi anni fa dal suo studente Maciek Lasserre), Lehman questa volta registra un disco che, senza mezzi termini, si può collocare nell’ambito dell’hip hop e dell’elettronica più jazzata, richiamando più di una volta alla mente termini di paragone come Kill the Vultures, J Dilla e Amon Tobin.

La differenza sostanziale con qualsiasi altro disco jazz rap precedente che si sia avvalso di una band live per la realizzazione delle basi strumentali è però che l’ensemble (formato, oltre che da Lehman, dallo stesso Lasserre al sax soprano, dal bassista Drew Gress, dal pianista Carlos Homs e dal batterista Damion Reid) non si limita a sostenere i rapper ripetendo la stessa frase in 4/4 per tutta la durata del pezzo. Piuttosto, è il rap che questa volta si adegua a una musica proteiforme e ritmicamente avvincente, che non rinuncia né al caratteristico suono spigoloso e geometrico del jazz di Lehman (che si occupa insieme a Lasserre sia di tutte le musiche sia del sampling e del drum programming) né all’esplorazione delle tecniche spettrali. E a loro volta, le dinamiche e i colori della musica del quintetto si adattano di volta in volta ai testi di HPrizm e Bandimic (pubblicati integralmente sul sito di Steve Lehman), particolarmente interessanti non soltanto per via del loro contenuto ma anche per via della felice scelta di lasciar cantare Bandimic in wolof, la sua lingua natìa (lo stesso titolo ‘Sélébéyone’ è un termine wolof, e vuol dire – non a caso – “intersezione”). L’equilibrio tra le selvatiche sonorità M-base, gli eccitanti groove funk, gli ariosi interventi elettroacustici e il rap è quasi miracoloso; merito anche della base ritmica (e in particolare di Damion Reid, che si barcamena tra batteria elettronica e acustica per tutta la durata del full-length), che riesce a destreggiarsi abilmente sia nel sostenere le intricate armonie dei sassofoni di Lehman e Lasserre alla maniera di un “classico” gruppo avant-jazz sia nel seguire le parti vocali dei due rapper.

‘Sélébéyone’ non è solo un ascolto divertentissimo e stimolante: è anche un disco che mostra un approccio fortemente innovativo e inedito, anche rispetto al resto della discografia di Lehman, alla commistione di jazz, musica elettronica e hip hop. E proprio per il ruolo primario che questi ultimi due generi ricoporono nel dare forma al sound definitivo dell’album, ‘Sélébéyone’ è anche particolarmente indicato come introduzione alla musica di uno degli indiscutibili grandi del jazz del nuovo millennio per coloro che ancora non fossero a conoscenza del suo lavoro. (Ema)

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