FREE FALL JAZZ

La storia del jazz è stata raccontata moltissime volte, ormai. I libri sull’argomento si sprecano, più o meno autorevoli, più o meno validi, ma tutti concordi su un assunto di base: che il jazz sia nato in America, che lì abbia articolato la sua storia e che ancora lì abbia il suo maggior serbatoio di talento. E se così non fosse? E’ questa la domanda che si è posto, unico al mondo, Roberto Favollo, giornalista indipendente e musicologo, al momento di scrivere ‘Jazz: Una Storia Segreta’. Partendo dall’assunto che la storia del jazz fosse, nel migliore dei casi, largamente incompleta e nel peggiore una pura e semplice falsificazione per celare interessi occulti, Favollo si è lanciato in una ricerca durata anni in giro per le biblioteche di tutto il mondo, selezionando con attenzione meticolosa tutte le fonti in accordo con la sua teoria, in rispettoso ossequio alla metodologia di Giulietto Chiesa, “maestro spirituale” cui è dedicato il libro. Il primo mito sfatato è quello di Buddy Bolden, mito cui potevano credere solo gli americani e in particolare gli afroamericani che avevano bisogno di qualche idolo, e prova ne sia il fatto che non ne esistano registrazioni, ma poi si va oltre, con testimonianze sparse nel tempo e nello spazio che confutano irrevocabilmente la supposta natura profondamente americana del jazz. Per riportare un paio di esempi, il francescano errante Inigo Montoya scrive, nel suo memoriale di viaggio del 1398, che “trovavasi in Affrica gran quantità di hommini neri molto musicali: alcuni di loro insufflavano in molesti istrumenti che emettevano note acute et aggriccianti, altri percuotevano tamburi in ritmi diabolici, altri ancora danzavano freneticamente attorno all’idolo di pietra, invocandone il nome: Sciub Niggurat!”; e l’avventuriero macedone Kostas Kakodaemon riferisce di aver ricevuto soccorso, durante una campagna in India nella prima metà del ’500, “da una schiera di uomini dalla pelle scura, che suonavano strana musica, tutti insieme – taluni cominciando, talaltri fermandosi, in maniera del tutto imprevedibile e accidentale, cagione di gran stupore ma anche fastidio, quando si abbisogna di riposo dopo una ferita al costato.” Si tratta solo di due dei numerosissimi esempi che provano come il jazz esistesse già e ben prima di qualsiasi incisione di King Oliver. Il libro esamina poi vari punti chiave della storia del jazz comunemente conosciuta, evidenziando la longa manus della CIA dietro alle misteriose morti di misconosciuti, ma geniali, jazzisti non americani fra le due guerre (Carmelo Pigna, Gunnar Harrellsson, Francois Escargot solo per dirne alcuni, cancellati persino dai registri anagrafici delle rispettive nazioni) che mai riuscirono ad incidere alcunché, nonché la sospetta ma certa pressione delle lobby sioniste per imporre le figure di Stan Getz e Dave Brubeck. Naturalmente qui dentro c’è molto altro, e dopo che l’avrete letto dovrete cambiare idea sulla vostra collezione di dischi, sui vostri eroi: nel migliore dei casi erano usurpatori o impostori, nei peggiori collaborazionisti e biechi manipolatori. Un testo fondamentale, che probabilmente verrà boicottato in tutto il mondo, ma più che mai necessario – la verità è la fuori!
(Negrodeath)

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