FREE FALL JAZZ

Se siete costantemente alla ricerca di novità in ambito di musiche improvvisate, tra rinsecchite avanguardie europee post free e certo brumoso e ritmicamente soporifero jazz nordico, o la plastificata e aritmica produzione ECM degli ultimi decenni, magari in attesa del manifestarsi di un nuovo messia jazzistico al santuario del prossimo festival di Saalfelden, probabilmente vi sarà sfuggito e vi sfuggirà per molto tempo ancora, questo Cuba:The Conversation Continues, come altrettanto facilmente vi sarà pressoché sconosciuto il nome del suo autore, invece già da tempo rispettato e celebrato negli USA: il compositore, band leader, pianista, nonché  plurivincitore di Grammy Awards,  Arturo O’Farrill. E sarebbe un vero peccato, in quanto vi perdereste una delle incisioni che con buona probabilità si riveleranno tra le più rappresentative di questo ultimo decennio e non solo per ragioni musicali.

Se qualcuno obietterà che si tratta di una esagerazione, perché si sta parlando di un musicista basilarmente di “salsa”, di musica fatta per ballare, non dategli retta: darebbe solo la rappresentazione plastica della propria conclamata ottusità, del proprio sordo pregiudizio e, in definitiva, della propria incultura musicale. Ammesso e non concesso che davvero O’Farrill faccia solo musica di tal genere, credo che sarebbe difficile poi spiegare come recenti acclamate icone del jazz più avanzato, come Vijay Iyer (presente anche come autore nel precedente ragguardevole Offense of the Drume Rudresh Mahanthappa (qui  con un ruolo di solista principe), certo non accusabili di vendersi alla musica “facile”, collaborino da tempo con O’Farrill, in un continuo interscambio di idee e di contributi ad alto livello.

A questa voluta polemica introduttiva, posso infine aggiungere che un musicista e compositore di tal fama è potuto venire in Italia ad esibirsi e farsi conoscere direttamente solo all’inizio di quest’anno, nell’ambito della stagione di concerti previsti ad Aperitivo in Concerto al Teatro Manzoni di Milano e alla matura età di 55 anni suonati, producendo con una formazione ridotta un eccellente concerto di cui ho già dato conto sulle colonne di questo blog e a cui rimando. Ce ne sarebbe insomma abbastanza per interrogarsi sul perché di certe ingiustificate esclusioni nelle proposizioni culturali e musicali al pubblico in questo paese, ma tant’è. Stiamo peraltro parlando di un noto figlio d’arte, poiché Chico O’Farrill, cubano trapiantato a New York e deceduto nel 2001, ha evidentemente inaugurato una dinastia di musicisti e compositori, che vede anche i figli di Arturo, Adam e Zack, partecipare a questa incisione in entrambe le vesti, con Adam che già da tempo è considerato uno dei più promettenti giovani trombettisti sulla scena jazzistica odierna. Arturo da tempo sta seguendo l’eredità musicale del padre, ma negli ultimi due splendidi lavori orchestrali registrati per Motema sta sviluppando in modo molto brillante e aggiornato un discorso musicale tra scrittura e improvvisazione più ampio e sofisticato di un semplice afro-cuban jazz.

Arturo O’Farrill, qui con la sua Afro-Latin Jazz Orchestra composta nell’occasione da musicisti cubani misti a quelli americani, si trovava all’Avana nel dicembre del 2014 proprio mentre Barack Obama annunciava in TV il disgelo diplomatico degli Stati Uniti verso Cuba. Il disco è stato registrato giusto due giorni dopo quell’annuncio, rendendo ancor più importante il significato del lavoro. Nel programma ci sono composizioni di sei nord americani (tra cui Dafnis Prieto, Michele Rosewoman e Zack O’Farrill) e quattro di compositori cubani (Alexis Bosch, “Coto” Juan de la Cruz Antomarchi, e Michel Herrera), interpretate da ben 24 musicisti. Anche in questo sta la “conversazione” tra i paesi che in fondo non si è mai musicalmente fermata dai tempi di Dizzy Gillespie e Chano Pozo.

Il brano d’esordio The Triumphant Journey, scritto da Dafnis Prieto, è un vortice di fiati e percussioni costruito ritmicamente su una serie di cambi e sovrapposizioni di ritmo, passando dal 6/4 di base a brevi passaggio in ¾ e la parte solistica in 4/4 supportata da una ricca e pastosa orchestrazione di O’Farrill  con, a un certo punto, una citazione di un brandello di A Night in Tunisia suonata dalle trombe, ripassando poi al 6/4 iniziale. Il clou del disco è certamente la Afro Latin Jazz Suite, scritta in quattro movimenti e commissionata dal Teatro Apollo per il suo 80° anniversario e per celebrare il 65° anniversario della Afro Cuban Jazz Suite, la celebre opera del padre Chico concepita all’epoca con la collaborazione solistica del genio di Charlie Parker, il cui ruolo solistico è preso nell’occasione dal brillante sassofonista indiano-americano Rudresh Mahanthappa. L’ambiziosa opera si dimostra matura e all’altezza della leggenda genitoriale, con una scrittura articolata e ritmicamente varia, comprendendo diversi elementi stilistici ereditati dal padre, ma che in parte ricordano anche lavori come Cuban Fire, pagina scritta nel 1956 dall’abile mano del quasi dimenticato Johnny Richards (il cui vero nome era invero Juan Manuel Cascales, di chiara genia latina) per l’orchestra di Stan Kenton. D’altronde l’affinità non può considerarsi casuale, se si considera che Kenton era all’epoca fortemente interessato alla musica cubana e che lo stesso Chico O’Farrill compose per la sua orchestra brani come Cuban Episode. L’impasto orchestrale della suite è perciò incentrato “kentonianamente” sulla sezione ottoni e costruito armonicamente in modo sofisticato, con evidente impostazione accademica di base, legando in modo intelligente profumi, ritmi e strumentazione tipicamente afro-cubane. L’acidula voce sassofonistica di Mahanthappa e quella squillante  del trombettista Jim Seeley contribuiscono a fornire alla suite un incisivo tocco di modernità in termini di linguaggio solistico improvvisato. Nel secondo movimento si sviluppa un caratteristico 6/8, con la presenza “intuitiva” del tempo di clave, anche qui alternato a intermezzi in 4/4. L’intreccio poliritmico continua ad essere al centro della composizione, dove si sviluppa un assolo infuocato di Mahanthappa. Gli ultimi due movimenti sono più brevi ma anche di una bellezza ed efficacia espressiva non comuni da riscontrare nel jazz di oggi. Il terzo movimento è un Adagio costruito su una luminosa e rilassata melodia esposta da sax tenore e tromba, su tempo di lento cha cha cha ed è uno dei momenti più emozionanti del disco. Finale con un eccitante quarto movimento, in una sorta di moderna descarga cubana arrangiata come sempre con gusto e appropriati interventi solistici di Mahanthappa. In conclusione, una delle cose migliori scritte a largo respiro nel jazz degli ultimi tempi, assolutamente meritevole del riconoscimento ricevuto.

Il resto del progetto discografico offre altrettanti spunti d’interesse. Alabanza, del pianista Michele Rosewoman, è un bell’esercizio di tessiture orchestrali e ritmi (con il compositore come solista) che collega elementi africani, articolazioni americane post-bop con la musica cubana. Il pianista Alexis Bosch contribuisce con Guajira Semplice, un tipico ¾ cubano con contributi di clarinetto, sax tenore e flauto. In conclusione del primo CD troviamo Blues Guaguancó, una canzone che oscilla tra salsa e bop vocalizzata da Bobby Carcasses. con brevi parte solistiche riservate al trombettista Jesusito Ricardo Anduz, al baritonista Jason Marshall, al pianista Alexis Bosch e al bassista Gregg August.

Il secondo disco si apre con Vaca Frita e vede la presenza di DJ Logic al giradischi. Il DJ e O’Farrill avevano già lavorato proficuamente nel precedente The Offense of the Drum e qui affinano l’integrazione in orchestra, tra intenzioni musicali solo apparentemente inconciliabili. Da segnalare un notevole assolo dal timbro rotondo e dal bel fraseggio di Adam O’FarrillSecond Line Soca connette pertinentemente la storica prossimità dell’Avana con la tradizione musicale di New Orleans. Adam O’Farrill ritorna a brillare in assolo nello stringato Just One Moment, tema del altosassofonista cubano Michel Herrerache si rivela un esercizio di colori orchestrali e swing .Con El Bombón si torna al tradizionale tempo di clave e alla salsa, peraltro magistralmente orchestrata, con testi scritti e cantati da “Cotó” Juan de la Cruz Antomarchi di Guantánamo.  Rudresh Mahanthappa ritorna poi nel numero conclusivo There’s a Statue of José Martí in Central Park, composizione di una certa complessità del batterista Zach O’Farrill che rende omaggio ad uno tra i primi sostenitori e combattenti per l’indipendenza di Cuba. Il pezzo di tredici minuti è l’altro piatto forte del disco dopo la suite di ventuno minuti ed è un mix di free jazz e musica ispirata al tradizionale carnevale di Santiago de Cuba. Un modo per riaffermare in musica il dialogo continuo tra la grande isola caraibica e New York City, perfettamente in tema col titolo che Arturo O’Farrill ha voluto assegnare al suo progetto.

In conclusione: uno dei lavori più importanti del 2015, naturalmente del tutto trascurato dalle votazioni nel nostro annuale referendum “Top Jazz”. Il che si commenta da sé.
(Riccardo Facchi)

Comments are closed.