Il nuovo disco di Dino Betti Van Der Noot prosegue nel solco stilistico prediletto dal compositore, ovvero quella della composizione orchestrale per un ampio organico di venti strumenti. Il titolo in qualche modo prepara alle sonorità dell’album, perché per tutta la sua durata si respira un clima sospeso, a tratti onirico: l’abbondanza di cromatismi, l’alternanza dei metri e la meticolosa costruzione di masse di “vapore” sonoro su cui fluttuano liberamente i solisti è, in tal senso, determinante. E l’utilizzo di flauto, violino, digeridoo e dizi contribuisce ulteriormente al tratteggio di un panorama sognante, quasi fiabesco, che è la vera cifra stilistica dell’album. Il passo solenne, infine, getta un ponte (volontario o meno) verso il rock progressivo che fu, al punto che non di rado siamo più vicini ad una versione orchestrale del Canterbury Sound che al jazz vero e proprio. Si comincia con la title track, dove si segnalano ottimi interventi di flauto e violino, e si chiude con l’imponente ‘The Rest In Music’, dedicata a Giorgio Gaslini, lieve e ariosa, ma capace di irrobustirsi all’improvviso durante l’ingresso del sax tenore. Si potrebbe citare questo o quel solista, visto che Van Der Noot ha scritto in loro funzione, ma ‘Notes Are But Wind’ colpisce soprattutto con l’atmosfera e la suggestione dell’insieme. In tal senso, un brano bandistico come ‘In The Deep Bosom Of The Ocean’ suona pesante e un tantino fuori posto rispetto al resto dell’album.
‘Notes Are But Wind’ conferma i pregi di Van Der Noot e di sicuro piacerà molto a chi lo ha apprezzato fino ad oggi. Per gli altri, è sempre un buon punto per cominciare.
(Negrodeath)