FREE FALL JAZZ

La scena musicale americana, offre oggi davvero un ricco campionario di validi improvvisatori, più o meno giovani, con un bagaglio di esperienze musicali maturate molto variegato, cioè non più inquadrabili come un tempo in singoli e precisi ambiti stilistici, ma per lo più sono poco conosciuti in Italia e meriterebbero senz’altro maggior attenzione. D’altronde una certa vulgata, ripetuta tendenziosamente come un mantra, da tempo propaganda l’idea che il jazz più creativo e aggiornato si faccia ormai in Europa e che in Italia, in particolare, abbiamo sufficienti validi musicisti da non aver alcuna necessità di presentarne al pubblico di americani, specie se questi rientrano in ambiti stilistici considerati pregiudizialmente ormai superati. Un comportamento, che dietro ad una apparente facciata di progressismo, in realtà nasconde solo un nazionalismo di convenienza e un approccio settario, pure abbastanza incolto.

Il quarantenne sassofonista e compositore Chris Greene è uno di questi musicisti. Nato a Evanston, Illinois ha trascorso i suoi anni di formazione nella Evanston High School Wind and Jazz Ensembles. Da adolescente ha iniziato a suonare professionalmente con molti gruppi pop-rock e jazz locali. Greene è poi andato a Bloomington, Indiana per frequentare il prestigioso programma dell’Indiana University Jazz Studies, studiando con il professore e violoncellista David Baker. Tornato a Chicago nel 1994, ha collaborato con alcuni dei migliori musicisti creativi e versatili della nazione, suonando e registrando con diversi gruppi e artisti quali: Common, The Temptations, Eric Roberson, Ed Motta, Steve Coleman & Five Elements, Maysa Leak, Ten City, Sheena Easton, Steve Cole, Michael Manson, Andrew Bird, The J. Davis Trio, Typhanie Monique, , Chris Rob, Vic Lavender, Jesse De La Pena, Liquid Soul and The Mighty Blue Kings. In qualità di leader la sua discografia presenta con questo ultimo lavoro già dieci incisioni, partendo dal 1998.

Questo Music Appreciation, registrato a fine 2013 in quartetto e pubblicato lo scorso anno, in compagnia di Damian Espinosa, piano e tastiere, Marc Piane al contrabbasso e Steve Corley alla batteria, pare essere proprio un progetto (in doppio CD), particolarmente significativo e riuscito, segno di una evidente raggiunta maturità musicale. La miscelazione stilistica che riesce a proporre tra jazz, blues, pop, soul, funk e rock in teoria oggi potrebbe essere considerata un po’ inflazionata, tuttavia il risultato prodotto pare davvero buono e non la mera espressione di un eclettismo sterile. Siamo certo all’interno di un mainstream rinnovato e sufficientemente creativo, in linea perciò con le tendenze attuali, e il mix proposto porta decisamente ad una sintesi omogenea e compatta, pur nella sua voluta varietà, e, ciò che non guasta, di piacevole ascolto.

Stilisticamente il suo sassofonismo pare indicare influenze diverse legate ovviamente alla tradizione afro-americana sullo strumento. Sicuramente c’è l’influenza della tradizione sassofonistica di Chicago, risalendo sino a Johnny Griffin, Von Freeman e Gene Ammons, ma personalmente ci ritrovo qua e là l’influenza timbrica e fraseologica di John Gilmore, il grande e un po’ sottostimato sassofonista di Sun Ra.

Il repertorio scelto per l’incisione è davvero multiforme e spazia dalle composizioni di John Coltrane (Equinox), Wayne Shorter (Deluge) e Mingus (Nostalgia in Times Square) rivisitate in maniera non pedissequa, anche rischiando qualcosa in termini di confronto, a originali in cui dimostra di dominare i diversi ritmi e vernacoli affrontati con grande proprietà idiomatica.

Per i brani da citare non c’è che l’imbarazzo della scelta. Personalmente ho apprezzato molto le sue improvvisazioni e l’insieme del gruppo in The Missing Part, Papuera, Day of Honor e Firecracker.

Se non vivete di ansie progressiste e nell’attesa del Messia che indichi un “nuovo” jazzistico abbastanza chimerico, ammesso e non concesso che con un tale atteggiamento non si finisca per farsi sfuggire tanta buona musica, questo è un disco che sicuramente fa per voi.
(Riccardo Facchi)

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