C’era molta attesa per ‘Infanticide’, secondo album della contrabbassista Caterina Palazzi che già si era distinta benissimo col precedente ‘Sudoku Killer’. Il nuovo disco conferma la strumentazione (anche se al sax tenore troviamo oggi Antonio Raia) e il gusto per atmosfere cupe, ambigue, al servizio di una narrazione quasi cinematografica. ‘Infanticide’ però alza il tiro, estremizzando il volume e la brutalità : il suono è fortemente caratterizzato da una chitarra elettrica sporca e fragorosa, molto vicina allo Steve Albini degli Shellac. Noise rock newyorkese sommato a moderno jazz italiano, quindi… e la cosa bella è che funziona. Tanti i momenti energici, dove pure il sax si lancia in fraseggi urlanti e acuti per reggere la forza d’urto dei riff, ma molti pure quelli di quiete, in cui riemerge quel gusto per la melodia oscuro ed inquietante dell’esordio. Saranno i ritmi, scanditi con sensibilità più rock che jazz, saranno, di nuovo, i riff taglienti e i vorticosi saliscendi dei brani, ma viene pure in mente il suono dei King Crimson più potenti, quelli di ‘Thrak’ e in generale degli anni ’90. Tutti i brani sono molto riusciti, ma su tutti segnalerei ‘Hitori’, strisciante e sospesa nei primi due terzi, esplosiva nell’ultimo, con un riff-cerniera simile a quello che, in ‘Run To The Hills’ degli Iron Maiden (!!!), ricopre la stessa funzione.
Una conferma e un ulteriore passo avanti: ‘Infanticide’ potrà interessare sia appassionati di jazz che non disedegnano sortite nel rock più corrosivo, sia chi fa il percorso inverso. E non è un risultato banale!
(Negrodeath)