FREE FALL JAZZ

No, non stiamo invitando nessuno a uccidere i propri figli, nè lo sta facendo Caterina Palazzi. L’infanticidio che dà il titolo all’atteso secondo album della contrabbassista romana (che le è persino costato un temporaneo ban dal circuito iTunes!) è puramente metaforico (“…inteso quindi come perdita di un’ingenuità ludica e fanciullesca in ragione di una maturità turbolenta e spesso amara”, specificava lei stessa in un comunicato di qualche tempo fa). Per la cronaca, si tratta di una delle migliori uscite dell’anno, clamorosa sintesi di free jazz, prog, noise rock, psichedelia e atmosfere da colonna sonora anni ’70. Chi ha amato le sonorità calme e “notturne” del predecessore ‘Sudoku Killer’ (distante ormai 5 anni) potrebbe restare spiazzato, ma la sterzata stilistica di Caterina e i suoi (i fidi Giacomo Ancillotto e Maurizio Chiavaro, rispettivamente chitarra e batteria, più il nuovo arrivato Antonio Raia al sax tenore) è ricchissima di idee e non deluderà i più avvezzi alle sonorità “di confine”. Troppo rock per il jazz? Troppo jazz per il rock? Per quanto ci riguarda, si tratta di quesiti sterili: ‘Infanticide’ è solo ottima musica. Scusate se è poco.

La cosa che più mi ha impressionato di ‘Infanticide’ è la differenza rispetto al pur ottimo ‘Sudoku Killer’: non hai avuto paura di cambiare e certi rischi oggi se li assumono in pochi.
Il cambiamento non è stata una scelta, bensì una necessità. Se il primo album era un tentativo, una ricerca del proprio percorso e della propria indole, una fase di passaggio in un momento in cui l’interesse verso la musica jazz era preponderante, questo secondo album è un punto fermo. Perché ho trovato qualcosa. Infatti, sebbene aggressivo, è molto più intimo e scarno del primo, in cui c’era un po’ di manierismo. ‘Infanticide’ invece è un pugno nello stomaco, dato forte! Questo almeno per quanto riguarda l’aspetto emotivo. Per quanto riguarda l’aspetto sonoro, la fase più jazzistica che ha caratterizzato l’esordio ha lasciato posto al riemergere delle influenze rock che tutti noi abbiamo avuto nel passato, unite alla voglia di sperimentare, tramite la commistione dei generi, una sonorità nostra, particolare, che non ho alcuna pretesa di definire “nuova”.

A quest’ultimo proposito, tra le varie influenze che fanno capolino in ‘Infanticide’ ci sento del noise rock. In particolare, alcuni passaggi mi hanno ricordato cose tipo gli Shellac. È solo una mia impressione o si tratta di sonorità effettivamente parte del tuo bagaglio?Assolutamente sì. Amo quella musica da sempre, è forse la mia preferita in assoluto, quindi come prevedibile a un certo punto ha cominciato a fare capolino. Si era assopita per alcuni anni ma adesso è tornata viva e vegeta!

Che impatto ha avuto sulle nuove canzoni l’ingresso in formazione di Antonio Raia? Erano già pronte da tempo, quindi magari erano state “pensate” per un contralto piuttosto che un tenore o comunque in maniera diversa. L’impressione che ho io è che anche il suo arrivo sia stato importante per aprire nuovi orizzonti sonori al quartetto.
Esatto. Sebbene i pezzi dell’album fossero già pronti nel momento in cui è subentrato il nuovo sax, non eravamo al tempo convinti che suonassero nella giusta maniera, anche per questo c’è stato un ritardo nel registrarlo. Infatti grazie a lui, che è violento, rock, passionale e “rozzo”, siamo riusciti a trovare il giusto sound per ‘Infanticide’, che altrimenti rischiava di essere un “vorrei ma non posso” perché troppo ancorato ai vecchi suoni. E poi c’è stato l’apporto umano che ha ci ha dato: finalmente ci siamo sentiti un vero gruppo affiatato in tutti i sensi, una famiglia, una squadra.

Come lo avete trovato? Avete dovuto provare parecchi musicisti prima di imbattervi in “quello giusto”?
Il cambio di sax purtroppo è stato improvviso e non ci ha dato il tempo di provare con calma varie persone, anche perché il nostro batterista vive in Francia, quindi organizzare prove non è semplice. Avevamo tour già fissati quindi siamo partiti con vari sassofonisti quasi senza fare prove: tutti bravissimi, ma solo quando è venuto Antonio abbiamo capito che era quello giusto per noi, il quarto Sudoku. Noi crediamo tantissimo alla forza del gruppo per creare un suono personale, con Giacomo e Maurizio suoniamo addirittura da otto anni insieme, facciamo una media di 50/60 date l’anno. Non ci lasceremo mai, ci sentiamo una famiglia.

Un titolo come ‘Infanticide’ rappresenta, hai detto, una sorta di rito di passaggio, la perdita dell’innocenza. Tu la tua innocenza – intendo quella musicale, non quella infantile – quando l’hai persa? C’è stato un momento o un evento che ha cambiato la tua prospettiva e ti ha reso più matura o smaliziata?
I due momenti, perdita dell’innocenza musicale e infantile, coincidono: parlo di quando ho scoperto i Nirvana. Quale innocenza ludica e spensierata si può mantenere dopo aver sentito nel profondo la voce di Kurt Cobain?  È stata una fase talmente importante e toccante nella mia vita, da farmi decidere di dedicare questo secondo album a loro… Più in generale, la perdita dell’innocenza che narra ‘Infanticide’ è riferita al momento dell’adolescenza, in cui si comincia a soffrire tantissimo senza neanche un motivo specifico.  Essere accompagnati dalla musica dei Nirvana in quella fase è una meravigliosa angoscia.

Visto che Kurt Cobain è stato così importante per la tua crescita musicale, tanto da “dedicare” ai Nirvana questo disco (dal titolo ‘Infanticide’, scelto anche per l’assonanza con il loro ‘Incesticide’, alla citazione di ‘Love Buzz’ in chiusura), hai mai preso in considerazione l’idea di riarrangiare una sua canzone?
In realtà in piccola parte il tentativo l’ho fatto proprio sull’ultima suite dell’album, ‘Masyu’. Nella parte centrale c’è un intreccio di frasi e citazioni sovrapposte tutte prese da pezzi dei Nirvana, e nelle ultime note dell’album il basso cita appunto ‘Love Buzz’. La voglia di riarrangiare i loro pezzi per intero non l’ho mai avuta, sono troppo perfetti per essere toccati o cambiati. Se dovessi farlo, credo che sceglierei ‘Aneurysm’.

Quali pezzi hai citato in ‘Masyu’, di preciso?
Allora, sulla parte centrale, da quando la chitarra resta da sola, ci sono: ‘Very Ape’ con basso e sax rivoltati su solo drums; ancora ‘Very Ape’ per sax e chitarra; ‘Breed’ con il basso; ‘In Bloom’ per sax e chitarra; ‘Negative Creep’ col sax e ‘Dive’ con la chitarra. Poi, come hai notato, in chiusura del pezzo c’è il basso che cita ‘Love Buzz’. Anche la parte iniziale di ‘Masyu’, dopo la batteria, quando ci sono i bending di chitarra, è vagamente ispirata a ‘Smells Like Teen Spirit’, precisamente parte dei loro stacchetti.

Com’è nata l’idea? Mentre componevi ti è venuto un passaggio che ricordava un po’ i Nirvana e da lì si è sviluppato tutto oppure ti sei seduta a tavolino già convinta di voler scrivere qualcosa in cui poter inserire citazioni di quel tipo?
L’idea di fare un album dedicato ai Nirvana c’è sempre stata, dunque è venuto spontaneo per l’ultima suite del disco esplicitare un po’ il tributo inserendo frammenti, a volte modificati e altre identici, di frasi nirvaniane. La musica però è venuta quasi da sola: mi serviva un passaggio violento tra la prima e la terza parte del pezzo, e avevo in mente quel riff di chitarra su cui la batteria poteva fare un solo rozzissimo alla Dave Grohl, quindi era l’occasione perfetta per sfociare nelle citazioni vere e proprie.

Le urla e i samples presenti in ‘Futoshiki’ invece da dove vengono?
Quello a inizio disco, sul pezzo ‘Sudoku Killer’, è un urlo umano di Antonio al microfono. Ora iniziano così anche i nostri concerti: buio e mega urlo. Le urla che si sentono sulla intro di ‘Futoshiki’ sono sempre opera di Antonio, ma sono fatte dentro al sax, quindi sembrano “filtrate”. In quella intro tutto ciò che senti è sax acustico più contrabbasso con archetto, poi quando inizia il pezzo vero e proprio c’è in sottofondo una radiolina con una telecronaca in giapponese. È un piccolo omaggio al Giappone: chiamandosi il progetto Sudoku Killer andava fatto!

Quanto è difficile oggi la vita del musicista? Che la scena musicale italiana, per strutture, mentalità e professionalità, sia tutt’altro che all’avanguardia è risaputo. Molti si nascondono dietro questa scusa, voi invece macinate concerti su concerti e alle parole preferite i fatti.
Sicuramente è una vita difficile, ma è anche vero che in questo momento storico in Italia è difficile tutto. Quindi, oggi più di prima, vale la pena tentare di fare il musicista di professione, che è il lavoro più bello del mondo. Si campa un po’ di stenti e grandi fatiche… Ma l’alternativa, restando a vivere qui, è fare un lavoro orribile per lo stesso guadagno. È vero che la crisi incombe e rispetto agli anni passati noi stessi notiamo una sempre maggiore difficoltà da parte degli enti organizzatori, si suona meno e a meno; ma, come dici tu, è anche vero che nascondersi dietro questa scusa per non darsi da fare al 100% è inutile e autolesionista.

La trasversalità della vostra proposta musicale vi ha portato a frequentare ed esibirvi sia in ambienti jazz che in ambienti rock. Quali sono pregi e difetti dei due contesti?
Negli ambienti jazz tradizionali ormai ci troviamo a disagio, non è più il nostro ambito. Prediligiamo i jazz festival più aperti alle contaminazioni oppure i locali rock un po’ sperimentali. A volte ci sentiamo adatti a entrambi gli ambienti, quindi ci entusiasmiamo, pensando di avere una carta vincente); altre volte ci sentiamo inadatti e incompresi ovunque e ci demoralizziamo. A rischio generalizzazioni: nel jazz capita più spesso che il cachet e il trattamento siano migliori, ma il pubblico è peggiore e più freddo.

Con chi ti piacerebbe suonare prima o poi?
Nei miei sogni: John Zorn, Marc Ribot, Bill Frisell, Nick Cave, Thurston Moore.

‘Infanticide’ non è uscito da neanche un anno, ma vorrei lanciare un piccolo sguardo al futuro se permetti. Del tuo prossimo disco sappiamo già un dettaglio: conterrà una serie di pezzi ispirati ai “cattivi” dei film d’animazione Disney. Hai già idea di come sviluppare questa cosa, musicalmente?
Il terzo disco in realtà è già a buon punto! Il ritardo con cui è uscito ‘Infanticide’ è stato a causa di forza maggiore, per via del cambio di sax. Io nel frattempo ho continuato a scrivere, quindi abbiamo parecchio materiale. Stiamo lavorando ad un suono ancora diverso: sempre aggressivo, ma più grottesco e meno angosciante. I personaggi cattivi della Disney hanno una base di ironia e surrealismo che, spero, verrà fuori anche nella musica. Tranne i due pezzi sulle streghe, Malefica e Grimilde, che non si mettono mai in ridicolo, e quindi torna l’angoscia violenta.

Non è una domanda strettamente musicale, ma per ovvi motivi va fatta: un’opinione sull’imminente ritorno di Twin Peaks, nostra comune passione?
Ahahah! Non ne sono entusiasta: i sequel delle cose belle spesso deludono. Spero di rimanere piacevolmente sorpresa.

(Intervista a cura di Nico Toscani)

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