Dopo un paio di anni di pausa, JD Allen torna sul luogo del delitto assieme ai vecchi amici Gregg August (basso) e Rudy Royston (batteria). Proprio così, il bel trio del sassofonista di Detroit è tornato insieme per ‘Graffiti’, quinto album della serie. L’impostazione è quella che abbiamo imparato ad amare: una serie di temi concisi ed ipnotici come base di una avvincente esplorazione di gruppo, con il sax a fare gli onori di casa dal punto di vista melodico, mentre basso e batteria occupano una strana terra di mezzo fra l’accompagnamento e il solo simultaneo, in libera associazione. E’ il basso che, spesso e volentieri, accenna il beat principale, mentre la batteria dispensa groove tutto intorno – un plauso al bravissimo Royston, tanto potente e dinamico quanto attento a non invadere gli spazi altrui. I temi, infine. Ci sono spiritual (la title track), blues (‘Little Mack’, la ritmatissima ‘Sonny Boy’), una forma tritematica fatta di complessi incastri fra i tre strumenti (‘Third Eye’, dai toni più gospel), melodie folk su accidentati percorsi ritmici (‘Jawn Henry’, dove Allen rievoca le levità di Lester Young), swing diretto e senza fronzoli (‘Indigo (Blue Like)’) – qui e nelle restanti, il trio è maestro di tensione e rilascio, privilegiando al solito la compattezza e l’assenza di fronzoli.
Poco da aggiungere. JD Allen è ormai una garanzia e va annoverato fra i grandi protagonisti del jazz contemporaneo, tanto come sassofonista che come leader. Chiunque lo apprezzi già può andare sicuro, gli altri possono partire benissimo da qui per rompere il ghiaccio.
(Negrodeath)