FREE FALL JAZZ

Nello scenario italiano degli anni ’70 si muovevano pure gli Sway, formazione capitanata dal bravo Sante Palumbo (piano e piano elettrico) che esplorava alcune delle sonorità jazz più popolari del tempo con umiltà e passione, senza timori riverenziali. Assime a lui troviamo il contrabbassista Marco Ratti, il batterista Lino Liguori, il chitarrista Sergio Farina e il sassofonista/flautista argentino Hugo Heredia; nel loro primo e unico disco, uscito originariamente per la microscopica Cipiti e solo recentemente ristampato da Markuee, gli Sway incrociano il linguaggio del jazz elettrico con quello di certo rock progressivo, genere popolarissimo in Italia su cui si sono formati centinaia di musicisti. Pezzi come ‘Sway’ e ‘Mad’ infatti sono caratterizzati da una chitarra funky impegnata spesso in taglienti riff e dagli assolo di Heredia, che alterna contralto, tenore e flauto sull’esempio di Bennie Maupin – possono venire in mente gli Headhunters di Herbie Hancock, volendo, ma la possente sezione ritmica conferisce alla musica un taglio molto più rock, vagamente à la King Crimson. Nella conclusiva ‘Canon’ il riferimento ai Crimson di ‘Lizard’ è più marcato, come suggeriscono i robusti e asimmetrici riff di chitarra su cui il flauto fluttua libero, leggero; e in ‘Bartokiana’ emerge la passione di Palumbo per la musica di Bela Bartok, filtrato in chiave jazz mediante la lezione di Thelonious Monk in maniera del tutto naturale e priva di intellettualismi da quattro soldi.

Validissimi ancora oggi, gli Sway ci ricordano un tempo in cui il jazz italiano, e più in generale quello europeo, era più concreto, incentrato sulla riuscita della musica e meno su ampollosi proclami e teoremi volti alla giustificazione della stessa.
(Negrodeath)

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