Autore di uno dei più bei dischi del 2015, EJ Strickland è uno dei più bravi e interessanti batteristi di oggi, tanto richiesto in giro quanto inconfondibile. Assieme al gemello sassofonista Marcus, uno dei nomi su cui puntare per il presente e il futuro di questa musica. E come spesso succede, EJ è pure una persona molto gentile e accetta di buon grado qualche domanda!
‘The Undying Spirit’ è il tuo secondo album. Quando hai cominciato a lavorarci?
Scrivo continuamente, quindi potresti dire benissimo che ho iniziato subito dopo ‘In This Day’, il precedente. Ho da parte ancora un sacco di musica che non ho registrato. E la band mi prende sempre in giro, perché gran parte del repertorio non è stato mai suonato o registrato una volta!
Stavolta hai usato solo il quintetto, senza ospiti. Cercavi forse uno sound più simile a quello dei concerti?
Sì, ho preferito concentrarmi solo sulla band principale, quella con cui vado in tour. Volevo pure trovare il giusto spazio per me stesso, a differenza del primo disco.
Jaleel Shaw è il perfetto contraltare di tuo fratello Marcus, nella frontline. Si tratta pure della tua prima scelta?
Mi è sempre piaciuto sentire i loro sassofoni insieme, fin da quando li ho sentiti con Roy Haynes al Village Vanguard. Credo che abbiano un ottimo feeling reciproco, per questo li ho voluti anch’io. Io poi adoro il sax, sono davvero fissato. Fosse solo per me, avrei sempre un bel coro di sassofoni!
Qualcuno potrebbe parlare di un quintetto acustico come di una scelta poco coraggiosa, ma la vostra musica è modernissima, a partire dai ritmi influenzati dall’hip-hop. Diresti che la tua generazione è stata molto influenzata da questo genere, anche se suona puro jazz acustico?
Ho spesso pensato di cambiare il nome del gruppo, per non far pensare subito al classico quintetto jazz. Ma alla fine l’ho tenuto, perché fa riferimento al nome del leader e al numero di musicisti. Ho sempre amato i ritmi swing, come potrebbe confermarti chiunque mi conosca, ma la realtà è che mi piace fare di tutto. Sono cresciuto in una casa piena di musica di ogni tipo. E io la penso così: non c’è motivo di sminuire un genere di musica, magari per elevarne un altro, come vedo e sento spesso in giro. Odiare questo o quel genere è assurdo. Per il resto, il jazz è musica nera, come già blues, gospel, rhythm’n'blues, funk, spiritual. E’ l’origine di tante forme di musica americana. Ma mentre il jazz si evolve per diventare più rilevante per l’ascoltatore di oggi, sentiamo pure che i generi nati dal jazz oggi influenzano il jazz stesso. Penso che certi jazzisti parlino costantemente di “swing”, ma è un equivoco perché anche loro poi usano ritmi e influssi di vario tipo, in una situazione di continuo dare e ricevere. Pensa a Dizzu Gillespie, Miles Davis, Herbie Hancock, solo per citarne tre a caso. Passando poi all’hip-hop, conosco a memoria i dischi di A Tribe Called Quest e Slum Village, ci sono cresciuto, un sacco di volte mi sono messo a suonare mentre li ascoltavo, quindi decisamente ne sono influenzato.
Come componi?
Come dicevo prima, scrivo continuamente. Ma cerco sempre di trovare un’ispirazione diversa per ciascuna canzone. A volte può essere la descrizione di come mi sento quel giorno. Altre, scrivo in testo da cui poi estraggo una base melodica. Altre ancora un pattern di batteria…
Parlando di batteria, i tuoi assolo sono sempre ben inseriti, anche nei lenti. Qual è il segreto di un buon assolo di batteria?
Non penso mai “suono la batteria” durante l’assolo. Piuttosto, penso al canto, ad un linea di sax o tromba, o ad una melodia particolare. Mai a paradiddle, fill o lick vari. Faccio del mio meglio per costruire qualcosa partendo da elementi molto semplici. John Coltrane era un maestro in questo, prendi i suoi interventi nel ‘Live In Stockholm’ di Miles Davis.
‘The Undying Spirit’ esce sulla tua etichetta personale. Quali sono i pro e i contro?
I pro sono molti: puoi fare quello che vuoi, senza alcun vincolo, e tutti i soldi delle vendite arrivano a te. Inoltre pure i diritti d’autore sono tuoi, se li tuteli grazie alla tua compagnia. I contro sono ovvi: il budget non è moltissimo, così come la distribuzione, in paragone ad una buona casa discografica. In più non si riesce a suonare così tanto in promozione della nuova uscita, a meno che tu non ci riesca da solo… il che è difficile e costoso.
Il disco di Kamasi Washington ha suscitato molta sensazione, anche presso un pubblico non specialistico, grazie alla buona promozione. Credi che il jazz contemporaneo abbia in realtà un pubblico potenziale più vasto di quello che normalmente di pensa?
Penso che il jazz non morirà mai. E’ troppo potente e profondo per estinguersi. I musicisti, con la loro passione, l’hanno tenuto in vita. Come Kamasi, molti di noi vedono nuovi modi per raggiungere un’audience più vasta. E oltre alla passione, ciascuno di noi fa il possibile per far evolvere il jazz e tenerlo vivo. La sopravvivenza comporta sempre un passo evolutivo, che si parli di esseri viventi o altro. Ma per rispondere in breve alla domanda: sì!
Ho visto che hai pure un altro gruppo, i Transient Beings. Cosa ci possiamo aspettare?
Si tratta di un progetto nuovo di zecca che messo su quest’anno. E’ una cosa che volevo fare da un pezzo, cioè allontanarmi da tutto ciò per cui sono conosciuto e spingermi altrove. Si tratta di un gruppo elettrico con batteria, basso, due chitarre e voce. Mi piace molto scrivere melodie e testi per la voce. Siccome mi piace tutta la musica, con questo gruppo faccio vedere tutte le mie sfumature, ed è molto liberatorio. Sentirete jazz, hip-hop, afrobeat, funk, rock nella nostra musica. Alla voce c’è Sarah Charles, alle chitarre Nir Felder e Tom Guarner, e al basso Rashaan Carter. Durante l’estate suoneremo molto a New York e lungo la costa del nord-est. Abbiamo pure collaborato con personalità come Imani Uzuri e Ravi Coltrane. Sto pensando ad una serie di show con due ospiti diversi a serata, e di conseguenza voglio scrivere brani specifici per ognuno di essi.
Marcus ha fatto parte del gruppo Our Point Of View, che celebrava i 75 anni della Blue Note. Ha avuto un seguito, quell’esperienza?
Marcus ha appena inciso un disco con la sua band Twi-Life e uscità nel futuro prossimo su Blue Note. E’ un disco strepitoso, con Keyon Harrold alla tromba!
Tu e Marcus vi aiutavate, durante gli studi?
Tutto il tempo. Ci siamo esercitati come duo sax-batteria per ore e ore. Scrivevamo musica e la suonavamo insieme. Io gli facevo domande su armonia e melodia, lui me le faceva su groove e ritmi.
Come te la cavi al sax?
Male, anche se mi sforzo di imparare. Per ora mi accontento di qualche scala al soprano.
Pensi di portare il quintetto in Europa?
Lo vorrei. Sto cercando di organizzare qualcosa per l’inverno, fra fine novembre e inizio dicembre. Se qualche promoter fosse interessato, digli di contattare Stefany Calembert della Jammin’ Colors.
(Intervista raccolta da Negrodeath)