Come sapete, il BAM Festival ci piace e ci auguriamo davvero che possa diventare un evento in grado di riportare un po’ di attenzione al jazz americano, che qui da noi non se la passa così bene in termini di attenzione e popolarità. Abbiamo ricontattato il sempre disponibile Nicola Gaeta, organizzatore del festival, per qualche domanda di approfondimento.
Come è nata l’idea del BAM Festival?
Una chiacchierata al telefono con Fabio Morgera che, sulla onda dei consensi che stava ottenendo il mio libro, mi proponeva l’organizzazione di un cartellone orientato in quel senso. Sono stato da subito entusiasta dell’idea. Da lungo tempo le proposte dei festival in Italia sono caratterizzate da un conformismo dilagante. Si sente sempre la stessa musica e le scelte sono sempre più rivolte ad accattivarsi un pubblico incosciente e convinto di sentire lo stato dell’arte dell’idioma afroamericano. Così non è e noi proviamo a rompere il ghiaccio.
Come ti sei mosso per organizzare il tutto?
Nella mia città sono abbastanza conosciuto per essere un convinto sostenitore di idee, spesso difficili, che alla fine vengono realizzate. La direzione dello Showville mi ha dato credito e adesso stiamo ballando.
E’ la prima volta che fai da direttore e organizzatore?
Sì.
L’esperienza newyorkese ti è stata in qualche modo d’aiuto, a partire dall’ovvia questione dei contatti?
Assolutamente sì, l’inserimento di Fabio Morgera nel mondo dei musicisti afroamericani ha fatto il resto.
Come hanno reagito i musicisti alla proposta?
Tutti entusiasti, in modo particolare Nicholas Payton che considera il nostro festival qualcosa di importante su cui puntare.
C’è qualcuno che ti sarebbe piaciuto chiamare e non hai potuto?
Tanti, Franck Lacy, Stacy Dillard, i fratelli Strickland, Jaleel Shaw. L’elenco è lungo ma noi abbiamo solo tre giorni a disposizione.
Il concetto di BAM riguada tutta la musica nera americana. Si può leggere sul sito che nelle prossime edizioni contate di chiamare pure artisti soul, hip hop etc. Pensi che l’Italia sia pronta o tantovale, comunque, provare a rompere il ghiaccio?
Dobbiamo smetterla di pensare al nostro paese come ad un territorio “non pronto” a qualcosa. Spesso questo è un alibi dietro il quale si trincerano ignoranza e insicurezza. Uno propone, se il pubblico non risponde, si proporrà ancora. Non capisco quale possa essere la differenza rispetto al pubblico olandese o svizzero. Viviamo tutti nello stesso villaggio e le emozioni possono essere veicolate con la stessa intensità. Ma veramente vogliamo continuare a vivere uno scenario musicale in cui il massimo della popolarità è veicolato da quella monnezza di Sanremo?
Giusto! Collegato a prima: in Italia, “musica nera americana” è sinonimo di disco music o pop. Donna Summer, Whitney Houston, una certa riconoscenza “istituzionale” a Stevie Wonder e Ray Charles, ma poi finisce tutto lì. Pensi sia il momento di rimediare, o quantomeno di far conoscere un panorama noto solo a cultori?
Chiariamo: Whitney Houston ha una voce della madonna. Ce ne fossero. E se si avesse ad ogni festival la possibilità di organizzare concerti come quello di Stevie Wonder ci metterei parecchie firme. Detto questo l’universo nero americano è un mondo composito che si declina in molti modi. Noi, cercando di districarci all’interno di proposte genuine e di livello, abbiamo intenzione di rappresentarli tutti.
Com’è andato il concerto “antipasto” di Wayne Escoffery?
Chi ha avuto la fortuna e l’intuizione di assistere a quel concerto è rimasto a bocca aperta. Era da tempo che dalle nostre parti non si assisteva ad una intensità emotiva e tecnico-espressiva di quel livello. Sono sicuro che questo farà da cassa di risonanza. Il pubblico era in visibilio. Noi siamo assolutamente soddisfatti.
Che reazioni hai notato quando hai cominciato a presentare il festival in giro?
Molta curiosità e attenzione, qualche perplessità da parte di detrattori che non mancano mai ogni volta che si cerca di proporre qualcosa di inconsueto.
Quando la polemica di Nicholas Payton era una faccenda tutta americana, a nessuno qui in Italia fregava niente di niente. Da quando è stato annunciato il BAM Festival, nei social italiani è iniziato a girare l’argomento accompagnato da un certo paternalismo, quando non un’aperta derisione. Come mai, secondo te?
Non so chi è che deride un’iniziativa di questo tipo. Non mi interessa e se c’è qualcuno che vuole continuare a farlo è ufficialmente invitato a Bari dal 16 al 18 Aprile (dovrà purtroppo venire a sue spese perché quest’anno abbiamo mezzo limitati) e potrà partecipare ad una interessante Tavola Rotonda sull’argomento con Nicholas Payton, Gary Bartz e Orrin Evans oltre a sentire dei musicisti che, almeno per il momento, non potrà sentire da altre parti. Dopo essersi fatta un’idea de visu, se vorrà potrà continuare a deriderci ma dovrà argomentarlo.
Infine, dopo mesi dall’uscita, sei soddisfatto dell’accoglienza ricevuta dal tuo libro?
Abbastanza. Il mio primo libro è stato accolto meglio dalla critica mi è sembrato. Questo un po’ meno. Non ho ancora capito come mai.
(Interivista raccolta da Negrodeath)