Per tutti gli appassionati, perlomeno quelli di vecchia data, questa pubblicazione in doppio CD di inediti “live” di Lennie Tristano, tra l’altro in un periodo suo assai poco documentato, si rivela già per essere come l’evento discografico jazz dell’ultimo periodo, assolutamente da non perdere. Si sa che il materiale di registrazioni e incisioni disponibili del grande maestro di Chicago è abbastanza scarso, per quanto nel corso dei decenni successivi alla sua scomparsa (datata 1978) la sua discografia si è rafforzata numericamente con diverso materiale pubblicato per lo più dalla Jazz Records. Tuttavia, la qualità di questa incisione della Uptown, è decisamente buona, se paragonata a molto dell’analogo materiale precedente, anche se, a dire il vero, il suono ricavato dal restauro digitale del piano di Tristano sembra divenuto un po’ metallico e timbricamente poco espressivo. In compenso, lo spessore del pensiero musicale suo e dei suoi allievi prediletti, Lee Konitz e Warne Marsh, in particolare, si conferma in tutta la sua forza. Direi, anzi, che per certi versi sembra una registrazione fatta apposta per esaltare le qualità dei due grandi sassofonisti, più che quella di Tristano (con l’eccezione della seconda versione di “All The Thing You Are” che contiene una improvvisazione sua da urlo). Il loro livello di apprendimento delle concezioni del geniale maestro, di affiatamento ed intesa raggiunti in quegli anni è qui documentato al meglio. Essi infatti non si limitano a prendere assoli in modalità tipica da jam session, ma dialogano spesso combinandosi a due voci, integrandosi perfettamente, mettendo in mostra le rispettive peculiarità, fatte di originalità timbrica, di fluidità fraseologica e creatività musicale. Probabilmente i due sassofonisti erano in quei primi anni ’50 al loro massimo creativo, forse cosa discutibile per Marsh, ma abbastanza vera per Lee Konitz.
L’appellativo di “maestro” per Tristano gli si confà perfettamente, in quanto è stato per davvero, oltre che un genio visionario che ha influenzato molto del pianismo “bianco” successivo, un grande didatta, che qui non a caso si circonda appunto di suoi fidi allievi, compreso il misconosciuto trombonista Willie Dennis, morto prematuramente nel 1965, noto per la sua partecipazione ad alcune incisioni “mingusiane” di metà anni ’50 per la Debut (ma ha anche collaborato con Benny Goodman, Woody Herman, Gerry Mulligan e Buddy Rich) e che costituisce una interessante novità nei combo tristaniani documentati discograficamente.
Lo stimolo di Tristano verso i suoi allievi, come sottolinea giustamente Bob Blumenthal nelle interessanti note contenute nel booklet, era quello di generare linee melodiche totalmente nuove su strutture armoniche di noti e battuti standards jazzistici, portando alle estreme conseguenze procedure proprie del bebop, per cui “Fine and Dandy” diventa “Sax of a Kind”, “All of Me” diventa “Background Music”, “I Remember April” diventa semplicemente “April”, “Indiana” diventa “No Figs”, il gershwiniano “Strike Up the Band” diventa “Palo Alto” , “Idaho” diventa “Tautology”, “Don’t Blame Me” diventa “Judy”, “Too Marvelous for Words” diventa “Sound Lee” e via discorrendo. Una procedura ri-compositiva divenuta peraltro prassi in gran parte del jazz moderno di quegli anni e in quello dei decenni successivi, sino pressoché ai giorni nostri.
Quando ci si convincerà che costruire musica sulle semplici forme della canzone americana non è mai stato, ne è oggi nel jazz, un limite, sarà sempre troppo tardi e questo tesoro discografico ce ne dà ancora una volta conferma.
(Riccardo Facchi)