FREE FALL JAZZ

Dinahrose ha scritto un bel pezzo sul suo rapporto coi dischi. Il sig.nor Toscani vi ha imparato il Black Friday. Io che posso aggiungere? Qualche stronzata random ma affine, forse è la cosa migliore. Ebbene, la musica è bella e ci garba altrimenti io non scriverei qui. E soprattutto non avrei speso un capitale in dischi. Perché quando mi prese il demone della musica ero troppo pigro per la musica attiva (esercitarsi? provare? naaaaah…), ma non per l’ascolto, che a distanza di tutto questo tempo resta il mio hobby preferito o quasi: tanto appagante quanto assolutamente salottiero. Negli anni la frequenza degli acquisti è aumentata in maniera direttamente proporzionale all’aumentare dei danari a disposizione. Con una precisazione: niente collezionismo. Nel senso, che bello il cd col libretto la cosa da tenere in mano (anche se ora gli scaffali cominciano a chiedere pietà), ma della rarità, l’edizione persiana con una bonus track o la centoventesima ristampa di quel classico con mix esafonico curato dal produttore originale più suo cugino e sei mayonnaise remix analog digital takes no, grazie. Lo preciso perché quel tipo di persone sono un po’ maniacali e probabilmente serial killer potenziali. Basta andare in una fiera del disco: se non ci vorrete più metter piede, siete voi quelli sani.

In questi tempi di roba digitale, scaricaggi selvaggi etc., io continuo a comprare sbombardate di cd. Internet, con tutti i benemeriti rivenditori online, ti spalanca davvero un  mondo. Solo chi ha paura che l’Uomo Nero gli freghi i soldi dal bancomat quando completa l’ordine su Amazon e, vergognandosi di ammetterlo in pubblico, spara la storia del contatto umano col negoziante preferisce pagare 20 euri per un cd che su internet si trova a 9. Notare che ai tempi di Napster io scaricavo roba dall’università e spezzettavo gli mp3 in tanti dischi da 3 pollici e poi li ricomponevo a casa (quanti passaggi!). E poi, se il disco mi piaceva, dopo qualche tempo lo compravo. Ma facevo la stesso ancor prima, ai tempi dei cd masterizzati. E ancor prima, ai tempi delle cassette (lì però il disco doveva piacermi davvero tanto tanto tanto, che da liceale i soldi sono contatissimi). E ho continuato così con l’arrivo dell’ADSL in casa. Oggi ormai non scarico nemmeno più. Leggo, o mi parlano, di un disco potenzialmente interessante? Bene, vado a sentire qualcosa dalla pagina dell’autore, o su YouTube, e se mi convince abbastanza ordino. Ciononostante purtuttavia alla fine della fiera, il fatto è che se mi trovo davanti un negozio di dischi ci entro e mi diverto a scartabellare, cercare, magari scoprire una copia dimenticata di un aggeggio di cui non frega niente a nessuno tranne che a me… Ultimamente ci ho pure ripreso l’abitudine, perché ho scoperto un bel negozio specializzato in jazz, e quindi posso andare lì e fare quelle cose da Nick Hornby o come cavolo si chiama che insomma vai lì e chiacchieri col negoziante etc etc. Un po’ come quando da ragazzuolo andavo al negozio di dischi metal ad ascoltare metal e parlare coi metallari e farmi consigliare dischi, nell’era pre-internet. E in onore a tutti quelli che si fanno il culo per tenere in vita un bel negozio di dischi, curato e specializzato e fornito etc, w il Record Store Day, il Black Friday e tutto il resto.

Finiamo deragliando un po’ altrove. Cioè, quasi. Se siete appassionati di musica, la cosa migliore che possiate fare è comprarla, per il semplice fatto che così i vostri musici preferiti non dovranno andare in tour solo fra un turno di miniera e l’altro. E fin lì ho scoperto l’acqua calda bagnata. Quel che voglio dire è che oggi ci sono cose come CdBaby che sono forse la vera novità, la rivoluzione silenziosa del mondo della musica. Funziona così: ti stampi i cd e li mandi al loro magazzino che fa da storefront e vende in tutto il mondo. E ti da un 70% del costo finale di un cd, tantissimo in paragone al contratto discografico medio. Questa compagnia, ovviamente americana, è partita nel 1998 e da allora ha pagato duecento milioni di verdoni in royalties – ai musicisti, ovviamente. CdBaby si occupa pure di digitale, fra l’altro, con server dedicati e anteprime in streaming, affiancandosi ad Amazon e iTunes. Ci ho scoperto e comprato varia roba, ed evidentemente non sono il solo. Qual’è il segreto? Non lo so, ma se la musica da ascoltatore casuale (che non significa necessariamente musica di merda, perché è ovvio che Katy Perry sia meglio dei Porcupine Tree, solo quella facile da intercettare attraverso i media generalisti) perde sempre più colpi, mentre quella indipenente in proporzione sta meglio e oggi esistono opportunità come queste per essere completamente indipendenti e pagati, questo significa solo che la differenza la fanno gli appassionati – i cercatori attivi di musica, che oltre ad avere un gusto personale hanno pure la curiosità di andarsi a scoprire la roba e a pagare per averla. Una volta scomparsi, nel senso di morti, i grandi miti ancora in attività, la musica non avrà più forse grossi nomi per radunare i fan e gli appassionati nei palazzetti, nei teatri e di qui e di là. Resterà la musica e basta, e solo chi cerca attivamente sarà in grado di scoprire le eccellenze e i fenomeni. E non è detto sia un male.

Resta solo un rammarico: non sapevo nulla del disco di Anne Nicole Smith, altrimenti l’avrei comprato al volo. In compenso lo sapevate che Mark Anthony-Turnage, compositore inglese, ha scritto un’opera su di lei (qui un articolo sulla prima)? Beh, io sì, e da un annetto almeno. Se lo so perché sono un appassionato di Anne Nicole Smith (rip), di Mark Anthony-Turnage (affine, come spirito e inclinazioni, a Michael Daugherty) o della musica, anzi, Musica, anzi, Mvsica… beh, decidetelo voi. (Negrodeath)

Comments are closed.