FREE FALL JAZZ

I Free Nelson Mandoomjazz sono un trio scozzese (Rebecca Sneddon al sassofono alto, Colin Stewart al basso e Paul Archibald alla batteria) che dal 2013, anno della formazione e delle prime registrazioni della band, si è prefissato un obiettivo ben preciso: trovare un punto di contatto tra il jazz e il doom metal.

Già i due EP pubblicati all’epoca lasciavano ben pochi dubbi sull’approccio del gruppo alla materia musicale: gli espliciti riferimenti nei titoli (‘The Shape of Doomjazz to Come’ e ‘Saxophone Giganticus’) e nelle copertine (che rivisitavano quelle dei classici “sbeffeggiati” sostituendo a Ornette Coleman e a Sonny Rollins la figura incappucciata della Sneddon, chiaramente omaggiando i Sunn O)))) ostentavano quel tipo di umorismo vagamente dissacrante di stampo Mostly Other People Do the Killing, mentre i brani accoppiavano una granitica base ritmica di scuola doom, con tanto di basso pesantemente distorto, ai volteggi pirotecnici del sassofono che strizzavano l’occhio all’ala più sperimentale e oltranzista del free jazz. A parte il fattore sorpresa per il connubio non usuale, comunque, non c’è molto da segnalare, vista anche l’immaturità con cui viene realizzato tale crossover stilistico.

Il primo full-length viene pubblicato solo questo febbraio, a titolo ‘Awakening of a Capital’ (questa volta il riferimento è a Luigi Russolo e alla sua ‘Veglio di una città’), e presenta un approfondimento delle sonorità introdotte con i primi EP. La proposta è la solita, così come l’ironia posticcia (il disco si apre con un minuto scarso di barriti di sax sopra alla distorsione infernale del basso, a titolo ‘Sunn Ra)))’), ma rispetto alle prime due release perlomeno il trio sembra declinarla in maniera più originale, approcciando l’idea di un connubio jazz/doom da più angolazioni (anche se la struttura è perlopiù la stessa: dapprima viene introdotta una figura ritmica di ascendenza metal su cui successivamente il sassofono ricama le trame melodiche e solistiche).

Su ‘The Stars Unseen’, per esempio, dapprima il sax si erge sulla base ritmica come se volesse imitare il timbro esoterico del primissimo Ozzy Osbourne per poi esplodere in un solo brötzmanniano che pur rievoca le distorsioni delle chitarre stoner metal; nella prima metà di ‘The Land of Heat and Greed’ è invece il basso a riallacciarsi al linguaggio jazz, mentre tra gli stridii del sax emergono hook melodici che potrebbero provenire da qualche riff di Tony Iommi. In ‘The Pillars of Dagon’, addirittura, si alternano aperture emotive (con tanto di intervento di un quartetto d’archi) a dissonanze brutali di scuola Flying Luttenbachers.

Questa maggiore varietà non risolve però il problema principale che affligge i Free Nelson Mandoomjazz fin dagli esordi: anche ascoltando questo nuovo ‘Awakening of a Capital’ si ha l’impressione che per il gruppo far convergere Electric Wizard e John Zorn nello stesso brano rappresenti il fine stesso della propria musica, e non un mezzo per ampliarne le possibilità espressive. Ciò che rimane è una collezione di brani, per quanto eseguiti molto professionalmente, che raramente riesce a essere qualcosa di più di un’esotica anomalia nel panorama musicale attuale. (Ema)

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