FREE FALL JAZZ

“Ma non conosci Colin Stetson?”
“Lo sai chi è il massimo dell’avanguardia jazz creativa, oggi? Colin Stetson!”
“Non riesco a credere che un appassionato di jazz come te non conosca Colin Stetson…”

Possibile che io avessi colpevolmente ignorato uno dei più luminosi talenti del sassofono jazz degli ultimi dieci, quindici, venti anni (a seconda dell’interlocutore)? Urgeva rimediare, se non altro per pura e semplice curiosità. E oggi, dopo aver ascoltato per bene pure i due precedenti volumi, mi è finalmente possibile dare una valutazione dell’ultimo album del canadese. Quasi un’ora di durata, in cui troviamo solo due musicisti, Stetson e il cantante Justin Vernon dei Bon Iver. La musica, è bene chiarirlo subito, col jazz non ha proprio niente a che spartire, a meno che non basti un sassofono. L’ampio utilizzo delle più disparate tecniche per intervenire sul suono fa pensare ad un accurato studio delle esperienze di Anthony Braxton e Roscoe Mitchell. Sovraincisioni ed effetti (in forma di un gran quantitativo di microfoni piazzati strategicamente) espandono ulteriormente la palette sonora, trasformando lo strumento in un super-sax. E quindi… beh, sembra di ascoltare, essenzialmente, la via di mezzo fra minimalismo, indie e post-rock. Ogni brano infatti vive di un semplice motivo che viene ripetuto ossessivamente, passando via via da quiete e serenità ad esplosioni noise e ritorno. La lunghezza spropositata, la povertà del materiale di partenza, gli odiosi interventi vocali di Vernon (da cori simil-sacrali a vocalizzi aggressivi, fa solo venir voglia di picchiarlo, e forte) e l’insistita ricerca dell’effetto ascetico, mistico, spirituale un tanto al chilo, danno il quadro completo di un’opera pretenziosa e irritante.

E’ vero, ho ignorato a lungo Colin Stetson. Dopo questa esperienza penso di continuare così, perché è la tipica robaccia per chi vuole tirarsela da intellettuale. Banalità servite con postura da genio.
(Negrodeath)

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