FREE FALL JAZZ

Alla seconda parte   Alla quarta parte

Sei mesi dopo, nel 1972, Talking Book era già un nuovo progetto discografico pronto per la pubblicazione. La foto di copertina è di un Wonder riflessivo, seduto su una collina arida. Una foto toccante scattata da Robert Margoulef. Talking Book è infatti un album più rifinito e riflessivo rispetto a Music of My Mind. In quel periodo il suo matrimonio con la compagna Syreeta Wright, peraltro di breve durata, stava andando in frantumi. Anche se non ci sono prove documentate che i suoi problemi matrimoniali avessero ispirato il tratto melanconico e nostalgico del disco, esso può essere considerato, almeno in parte, autobiografico.

L’album inizia con “You Are The Sunshine Of My Life” (24), divenuta in breve una delle canzoni più note della sua discografia, e termina con l’accattivante “I Believe (When I Fall In Love) (25). In mezzo abbiamo un po’ di tutto: funk, ballads, racconto sociale e jazz. “Superstition”  (26) è stato il primo singolo estratto dall’album ed è un brano di forte umore funky, con un testo che affronta il tema della superstizione come autodistruttiva e frutto di ignoranza. Si tratta del primo vero inno funk di Wonder e una delle canzoni simbolo del funk degli anni ’70, tra l’altro citata tra i mille jazz standard più famosi (27). “You and I” (28) è un altro esempio supremo dell’arte di Wonder come compositore di ballads e cantastorie, con la sua elasticità melodica e i cambi di accordi elaborati e piazzati al momento giusto ed è difficile credere che sia solo lui a cantare accompagnato dalle tastiere. La notevole “You’ve Got It Bad Girl” (29) si distingue per essere uno dei brani più complessi armonicamente tra le canzoni nel suo book (e forse di qualsiasi artista pop sino a quel momento). Anche se sin dai tempi della adolescenza aveva dimostrato di avere un orecchio armonico molto sviluppato, nessuno avrebbe potuto prevedere all’epoca, una tale elaborata sequenza di cambi di accordo in una canzone pop, nell’ambito di un testo che parla di una ragazza che gioca duro per ottenere ciò che vuole, utilizzando il suono oscillante del Moog ai bassi e accordi di atmosfera al sintetizzatore, creando uno stato d’animo romantico e al tempo stesso stranamente inquietante.
Per promuovere al meglio Talking Book, Wonder fece un tour negli Stati Uniti e in Canada con i Rolling Stones. Questo lo ha esposto ad un pubblico totalmente nuovo, per lo più bianco, che sembrava amare lui e la sua musica procurando una impennata alle vendite del disco. Tuttavia ci sono state molte difficoltà durante il tour, anche a causa di profonde differenze filosofiche e nello stile di vita tra Stevie e gli Stones. Il loro smodato uso di droghe, la promiscuità sessuale e il disordine nel modo di vivere erano in netto contrasto con i suoi valori. Per gli standard del Rock, Wonder è uno “square”. Lui non beve;  non fuma e certamente non fa uso di droghe. Disse durante il tour: “My head hasn’t swelled because I had success early. At least I don’t think so. Some of it has actually turned me off. I mean, there’s a lot of bull that goes down in the business. People blowing money on cocaine when they could be giving it to those who need it. We artists owe more than our music to, like, black people. We should give them some time, and, maybe, some money too”. Per un giornalista di Newsweek, affermò: “I don’t see any reason for taking drugs. . . If I were high it would destroy the character of my music, because I would be tripping out so much on myself as opposed to the things around me, or what I was seeing as opposed to the conclusions I’ve come to within my mind.”

Con il successivo Innervisions del 1973, si giunge davvero al suo periodo di massimo fervore creativo e produttività compositiva, realizzando forse il suo capolavoro discografico assoluto (in ballottaggio con il successivo celebrato “Songs in The Key of Life”) e uno dei dischi più rappresentativi degli anni ’70 e di tutta la Black Music. Il lavoro è spesso citato come un esempio del genio stupefacente di Stevie Wonder. E’ il primo album interamente scritto, prodotto e arrangiato, in cui elabora tutto il songwriting senza alcun aiuto, sorelle Wright comprese, suonando tutti gli strumenti e cantando le voci su sei delle nove tracce. L’unico aiuto di cui ha avuto bisogno è stato a cura dei suoi co-produttori Malcolm Cecil e Robert Margouleff, che gli hanno disposto le numerose tastiere in cerchio, in modo da poter passare agevolmente da una all’altra. E’ l’album che è altrettanto enciclopedico dello stile di Stevie Wonder del successivo “Songs in The Key of Life”, forse anche in modalità più sintetica e compatta di quello. In questo LP, molto più di qualsiasi dei suoi precedenti, egli esplora tutta una gamma di emozioni e problemi umani, che si tratti di gioia, rabbia, malinconia, amore, umorismo, riflessioni filosofiche e sociali.  E anche quando il suo messaggio risulta più potente e rilevante, non diventa mai invadente o predicatorio, consentendo sempre di godere dello splendore della sua musica e della sua arte. Relativamente alla scelta dei brani da preferire non c’è che l’imbarazzo della scelta. Fin dal brano d’esordio, il cupo ma irresistibilmente funky “Too High” (30), il cui testo ha per soggetto una donna che ha avuto la possibilità di fare grandi cose, ma le manca, a causa delle sue abitudini autodistruttive, finendo per morire di overdose, Wonder dà il tono generalmente impegnato all’album. Questa canzone, non a caso composta dopo l’esperienza in tour con I Rolling Stones, è ammonitrice della follia e dei pericoli dovuti all’abuso di droga. Da un punto di vista puramente musicale il brano, veramente notevole sia nello sviluppo che nella timbrica strumentale utilizzata, potrebbe essere considerato un riuscito esempio di jazz fusion, che manifesta un probabile influsso con quanto stava facendo Herbie Hancock nello stesso periodo.
Il disco contiene poi tre ballate, molto diverse tra loro per forma e intenti espressivi, ma tutte di livello musicale davvero eccellente. La suggestiva e utopica “Visions” (31), con chiaro riferimento alla propria cecità, evoca nella mente di Wonder visioni, in modo persino più consapevole di un vedente, sui problemi esistenziali personali e del mondo che ci circonda.  La bellezza espressiva del canto è qui di forte impatto emotivo. L’emozionante “All in Love is Fair” (32), di cui esiste una superba versione orchestrale arrangiata da Slide Hampton, è una love-ballad esaltata dall’espressivo canto di Wonder e che ha per tema i sensi di colpa per un amore perduto. Infine, “Golden Lady” (33), ballata molto ritmata, con una luminosa tessitura compositiva, ricca di cambiamenti armonici e tonali intorno allo sviluppo melodico. Di questo brano esiste una rimarchevole recente versione di Kurt Elling, con Bob Mintzer al sax tenore.
“Living for The City” (34) è il brano più originale, illustrativo in musica del tema sociale che più gli sta a cuore, nel quale immette tutta quella energia esecutiva e quella forza espressiva che è caratteristica peculiare non solo del jazz più autentico, ma appunto di tutta la Black Music di cui si accennava. Si tratta di un racconto straziante che parla di neri oppressi da tutti quei problemi, ancora troppo comuni negli U.S.A., subiti dalle minoranze etniche nel controllo del tessuto urbano degradato della metropoli newyorchese in quell’inizio anni ’70, non ancora seriamente affrontati dopo ben cinque anni dall’assassinio di Martin Luther King. Storie di povertà, discriminazione razziale, limitate opportunità di istruzione e di disoccupazione. L’impatto sonoro del brano deriva dall’ostinato della sezione ritmica, con il suo finto coro celebrativo orecchiabile e privo di parole, con l’intensità dei suoi accordi, il tutto condito da una voce solista che manifesta prima malcelata ironia e poi monta rabbia. Dopo un intermezzo che utilizza un montaggio campionato dei rumori del traffico e della folla avvolta da un sirena, che simula quella della polizia giunta per arrestare un ragazzo nero, la musica riprende e si conclude con la voce rabbiosa di Stevie e il refrain del coro.
La contagiosa “Don’t You Worry ‘bout a Thing” (35) è invece un esemplare matrimonio tra raffinatezza musicale (la canzone è nella tonalità di Mib minore) e orecchiabilità. Nulla di tutto questo era ancora presente nella sua opera fino a quel punto, con una tale combinazione vincente di gioia, ballabilità e cantabilità e con quella azzeccatissima introduzione al pianoforte in ritmo caraibico, la presenza di percussioni esotiche e di sofisticati cambi di accordo. Un capolavoro oltre i generi musicali e una fusione perfetta di R&B, Soul e ritmi latini, quanto mai rappresentativa del genio musicale di Wonder e solo possibile nell’ambito culturale americano e afro-americano, in particolare.
Conclude il masterpiece discografico “He’s Misstra Know-It-All”, un numero tinto leggermente di gospel, che attacca i subdoli inganni utilizzati dall’amministrazione Nixon nella copertura mediatica sullo scandalo Watergate. Si tratta di un’altra efficace melodia che integra, piuttosto che compromettere, l’umorismo sarcastico di Stevie, con la sua voce che diventa sempre più appassionata e animata nel prosieguo del brano.

Al culmine del successo, ecco che la sfortuna torna a far capolino nella sua vita, in modo tale da rischiare della propria vita. Il 6 Agosto 1973, Wonder, avendo suonato al concerto di Greeneville, in South Carolina, stava sulla via del ritorno, appena fuori Durham, Carolina del Nord. Era addormentato sul sedile anteriore di una vettura guidata da un suo amico, John Harris. Stavano viaggiando proprio dietro un camion carico. Improvvisamente il camionista frena bruscamente ed i due veicoli entrano in collisione. Un pesante elemento del carico, fracassando il parabrezza, finisce esattamente in fronte a Stevie. Sanguinante e privo di sensi, viene estratto dalla macchina distrutta. Per dieci giorni si ritrova in coma, causato da una grave trauma cranico. Amici, fan e parenti pregarono per lui. Quando riprende conoscenza, scopre di aver perso il suo senso dell’olfatto, forse in modo permanente, avendo anche il timore di perdere le sue facoltà musicali, cosa che fortunatamente non avviene. Tuttavia, dovette assumere farmaci per un anno intero, sentendosi facilmente stanco e subendo forti mal di testa. Quell’incidente però lo cambiò interiormente. Wonder ha sempre avuto consapevolezza del lato spirituale della vita, ma l’incidente gli portò più chiaramente in superficie il suo rapporto riconoscente con Dio.
In un’intervista disse al New York Times: “L’incidente ha aperto le mie orecchie a molte cose che mi stanno intorno e, naturalmente, la vita è solo la cosa più importante per me adesso e quello che faccio con la mia vita.  Interpreto quanto mi è accaduto come la mia seconda chance di vita, per fare qualcosa o per fare di più e per valorizzare il fatto che sono vivo”.
A fine gennaio e febbraio del 1974 viene in Europa suonando alla Convention annuale MIDEM di Cannes, in Francia, e poi facendo due spettacoli da tutto esaurito al Rainbow Theatre di Londra di fronte a un pubblico composto da molte stelle del rock britannico. Il mese di Marzo porta a Wonder i meritati riconoscimenti e la celebrità, vincendo ben 5 Grammy Awards su 7 nominations: Miglior Performance Vocale Pop-Maschile (Sunshine Of My Life), Miglior Rhythm and Blues Vocal Performance maschile (Superstition), Miglior Rhythm and Blues Song-Writer (Superstition), Miglior Engineered recording (Innervisions), e il più prestigioso, Album of the Year (Innervisions).

Il 1974 è un anno molto impegnativo per Wonder, produce un secondo album per Syreeta, intitolato “Stevie Wonder Presents Syreeta”. Compone e suona in “Perfect Angel” (36), album di Minnie Riperton, scrivendo due canzoni, la title track e “Take A Little Trip”. Inoltre, scrive e produce “Tell Me Something Good” per il gruppo Rufus con Chaka Khan. Nel frattempo, è impegnato in studio, dando gli ultimi ritocchi al suo successivo album, chiamato in modo un po’ bizzarro Fulfillingness ‘First Finale. E’ un album un po’ sottovalutato, collocato com’è tra i suoi maggiori capolavori, che forse non ne possiede lo stesso impatto, ma sul piano compositivo è molto interessante e interpretato con grande feeling, senza essere stucchevole. I suoi testi spaziano dalla politica al romanticismo, sino alla spiritualità e la musica dal lento al ritmato, in una ragguardevole collezione di brani. Un album che mostra un Wonder scrittore profondo. Il LP prende il via con “Smile Please”, una canzone che molti sostengono essere il migliore brano di apertura su uno qualsiasi dei suoi album.  La traccia “You Haven’t Done Nothin’  viene invece incisa, anche come singolo di successo, con i Jackson 5, dove il testo è un duro richiamo ai politici e al loro atteggiamento inetto verso i meno fortunati. “Boogie On Reggae Woman” (37), il secondo singolo ad essere estratto dall’album, è un blues sensuale e ritmico che profuma appunto di Reggae alla Bob Marley (musicista che incontrerà l’anno successivo in Giamaica durante il Wonder Dream Concert organizzato dal Jamaican Institute per la raccolta fondi a favore dei non vedenti). Wonder dimostra di essere ancora al top della forma con le ballate “Creepin’” (38), “Too Shy to Say” (39) e “It Ain’t No Use” . I suoi pensieri spirituali sono rivelati in “Heaven is 10 Zilion Light Years Away”, senza usare un tono predicatorio. Molto particolare è il dolorosamente desolato “They Won’t No When I Go”, che in un’atmosfera carica di blues feeling viene musicalmente esposto con un approccio classicheggiante. La magistrale interpretazione vocale di Wonder è ciò che rende la canzone così commovente, aumentando in rabbia e dolore nella parte centrale, con il suo attacco contro i peccatori e i politici corrotti, prima di ricadere nel mood serenamente triste dell’inizio. “Birds of Beauty” (40) è un pezzo profumato di Brasile, che parla di liberare la mente e il corpo di agenti esterni nocivi. L’album si conclude con “Please Don’t Go”, un appello emotivo che prega di non andare via, con Wonder che insieme al coro canta a squarciagola un appello dal profumo gospel.
Nell’ultimo concerto dell’anno al Fall Festival Tour al Madison Square Garden, Wonder mostra di agire socialmente non solo a parole, donando 50.000 dollari a sette enti di beneficenza di New York. Lo spettacolo è leggendario; col finale “Superstition” cantato con Sly Stone, Eddie Kendricks, e Roberta Flac.

Il 1975 è un anno di momentaneo fermo discografico nelle pubblicazioni (ma certo non nei preparativi, che produrranno il successivo doppio LP capolavoro), caratterizzato, dal punto di vista jazzistico, da una interessante collaborazione-scambio con Herbie Hancock, in quel periodo impegnato discograficamente da “Man-Child”, l’ultimo progetto musicale con i suoi Head Hunters, decisamente Funk, musica di grande presa nel periodo presso il pubblico afro-americano. Wonder partecipa come armonicista in “Steppin‘ in it”, ma in un suo concerto a New York di quell’anno pubblicato tempo dopo come bootleg, Wonder ricambia con l’esecuzione dello strumentale “The Traitor”, contenuto nello stesso album di Hancock. E’ evidente anche solo da questo fatto come in quel periodo molti jazzisti neri, tra cui Miles Davis (si pensi a dischi da “Live /Evil” in avanti), oltre allo stesso Hancock, cercassero quelle sintesi in ambito più generale di Black Music, di cui si accennava in precedenza. Perciò rimane abbastanza inspiegabile la separazione chirurgica e abbastanza artificiosa operata da molta musicologia jazz europea che ha sempre voluto distinguere musicalmente e sul piano artistico in ambito afro-americano ciò che gli stessi afro-americani non hanno mai avuto intenzione di separare, ma, al contrario, di fondere, vendendo un’immagine del jazz e del contributo africano-americano a quella musica a propria immagine e somiglianza.
Da notare, estrapolato da quell’eccellente concerto, una prima memorabile versione di “Overjoyed” (che verrà incisa in studio molto tempo dopo, negli anni ’80) eseguita come bis al concerto con la sua strepitosa voce accompagnata dal solo piano. (continua…)
(Riccardo Facchi)

(24) Version jazz di: Aaron Goldberg; Al Grey; Anita O’Day; Ella Fitzgerald con Joe Pass; e con lo stesso Wonder; Barney Kessel; Benny Green & Russell Malone; Carmen McRae; Cedar Walton in “Firm Roots”; Don Braden; Frank Sinatra; George Shearing; Gerald Wiggins; Grover Washington, Jr.; Jim Rotondi; Jimmy Forrest; Lou Donaldson; Mal Waldron; Monty Alexander; Sam Jones; Sonny Stitt; Stephane Grappelli; Steve Turre; Tyrone Washington; 

(25) Version di Chico Hamilton e Petra Haden/Bill Frisell

(26) con versioni di Ahmad Jamal; Jeff Beck; Mel Torme; Jackson 5; Quincy Jones; SF Jazz Collective; Mark Whitfield; Prince; 

(27) http://www.jazzstandards.com/compositions/index.htm

(28) con versioni di Abbey Lincoln, Barbra Streisand; Bob Mover; Carmen McRae; Jay Hoggard; Joe Locke & Phil Markowitz; Stanley Turrentine; Adam Schroeder

(29) di cui esistono versioni di Quincy Jones; una più elaborata di Herbie Hancock nel relativamente più recente “The New Standard”: di Mongo Santamaria; di Hank Crawford e di Richard “Groove” Holmes

(30) di cui esistono versioni di Joe Farrell, Freddie Hubbard in “High Energy” e in “Gleam”, Pat Martino

(31) di cui esistono versioni di Marion Brown; Marcus Miller; Joshua Redman; SF Jazz Collective; Theo Croker

(32) di cui esistono anche versioni di Billy Eckstine, Carmen Mc Rae con Carl Tjader, Great Jazz Trio, Marian Mc Partland e Mark Murphy

(33) di cui esiste tra le tante anche una versione jazz di Abbey Lincoln con Archie Shepp

(34) di cui esistono versioni di Maynard Ferguson; della Thad Jones & Mel Lewis Orchestra in “Pot-Pourri”; Stanley Turrentine (a 14:44 del video); Ray Charles e Tina Turner

(35) di cui esistono versioni di Al Jarreau; Cal Tjader con Carmen Mc Rae; Woody Herman; Hank Crawford; Harold Mabern; Javon Jackson; Lionel Hampton con Tito Puente; Roy Ayers; Hiram Bullock; Sonny Criss; Stanley Turrentine (a 29:40 del video); della Thad Jones & Mel Lewis Orchestra in “Pot-Pourri” ; Vanguard Jazz Orchestra

(36) Di questo brano esiste una diversa, appena accennata, ma intensa versione cantata da Wonder in un suo concerto dell’anno precedente, a Brighton del luglio 1973 (pubblicato anche con il titolo “Higher Ground”) nell’introduzione a “You Are My Sunshine of My Life” ; cioè prima della pubblicazione sul disco della Riperton, che dà l’idea del suo immenso spessore interpretativo. Esiste anche una versione commemorativa in questo video tv del 1979

(37) Con versioni jazz di Marcus Miller e una davvero splendida di Stanley Turrentine con lo stesso Wonder all’armonica

(38) Con versioni di Luther Vandross; Blue Mitchell; Bob James; Herbie Mann; Herb Alpert, Don Byron in “A Fine Line”; Mongo Santamaria; Stanley Turrentine; Steve Grossman; Hiram Bullock, Lonnie Plaxico; 

(39) Esiste una sorprendente versione di Stan Kenton oltre a quella più popolare di Diana Ross

(40) Versioni jazz di Herbie Mann e Stanley Turrentine

Fonte generale di riferimento www.steviewonder.org

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