29° INNtone JazzFestival 6-8 Giugno 2014
Austria, montagne, natura, birra e FESTIVAL. La risposta alla domanda “perché InnTone?”, festival dai più sconosciuto, è stata la voglia di ritrovare un po’ lo spirito dei festival anni 80, meno professionali ma più “ruspanti”. E qui “ruspante” è proprio l’aggettivo esatto.
Il palco è dentro un fienile (!), infatti Jazz Am Bauernhof significa proprio fattoria. L’atmosfera è giusta, ma purtroppo, come ormai capita in tutti i festival, ci si ritrova tra amici, siano dall’Austria, dalla Germania o dalla Slovenia. Non esiste neanche qui, nonostante la massiccia proposta di festival jazz e avanguardia, un interesse giovanile. Si incomincia con un progetto che sulla carta avrebbe dovuto fare scintille, ma proprio così non è stato. La New Jungle Orchestra di Pierre Dorge con ospite James “Blood” Ulmer, non ha saputo creare il giusto feeling, molto meglio quando il chitarrista si è esibito in trio. Il trio di Mario Rom mi ha lasciato molto freddo: una musica che guarda al cool, ma senza indicazioni al presente. Divertente ma nulla più Melvin Vines, mediocre sia come trombettista e ancor di più come vocalist, con la sua Harlem Jazz Machine, musica soul con venature jazz ma con qualche buon spunto del tenorista Charles Davis. E alla fine del primo giorno… ecco la luce! Billy Boy Arnold, John Primer, Billy Branch, Lurie Bell, Carlos Johnson: 2 ore e mezza di sanguigno chicago blues!!! E via, si son fatte le tre di notte!
Il giorno dopo il quintetto del trombettista Daniel Nosig e del tenorista Jure Puckl apriva le danze, ma si fa per dire: saranno stati l’ora pomeridiana e il caldo inusuale per la zona, con una musica troppo soporifera gli spettatori erano ben ben assopiti. Ci pensava Pablo Held, che non conoscevo, a risvegliarci: musica molto ricercata che si rifà a un Paul Bley giovanile. Da tener d’occhio. Salto Nino Josele, il flamenco proprio non fa per me, e poi sale sul palco Jazzmeia Horn, giovane vocalist che ha come mentore un Kirk Lightsey sempre pimpante. Peccato che dopo un bell’omaggio a Betty Carter, alla quale fa riferimento, si sia lasciata coinvolgere in esibizionismi vocali. Comunque da seguire. George Mraz, presente qui con due progetti, è stato una delusione cocente: il trio ha proposto una fusion datatissima. A risvegliarci dal torpore e a farci muovere le gambe ci ha pensato l’organista Raphael Wressnig con i suoi Soul Gumbo, ossia Craig Handy, tenore e voce, Johnny Vidacovich, batteria e Alex Schultz, chitarra. Wressnig non è James Taylor, ma questo quartetto fa divertire e molto.
Terzo e ultimo giorno. Del trio Mathisen-Robin (ITA !)-Borlai non mi rimane memoria. Interessante, anche se un po’ inconcludente, il pianista Carlton Holmes. Il cantante chitarista cieco, Raul Midon, che mi ricorda molto Jose Feliciano, non mi ha lasciato per niente impressionato, nonostante il successo di pubblico. Il secondo progetto di Mraz, con la figlia (?) è stato ancor più deludente del primo: proporre film con la musica non è mica facile. Il quartetto di Lorenz Raab (tromba), Michel Godard (tuba), Eirik Hegdal (tenore e baritono) e Patrice Heral (batteria) ha proposto una musica molto coinvolgente grazie anche al sostegno ritmico della tuba di Godard: bene! E siamo arrivati alla parte più interessante: Sun Ra Arkestra sotto la direzione di Marshall Allen. Non è stata una rivisitazione della musica di Sun Ra, molti pezzi nuovi scritti da Allen soprattutto, ma dove gli arrangiamenti sono a cura di Vincent Chaney e Graig Handy, quando l’altr’anno l’orchestra fu resident band al festival di Poschiavo. Quello che sorprende è vedere Allen (90 anni) dirigere con polso tutta l’orchestra. Una menzione per il pianista Farid Barron. Chiudeva il festival Hazmat Modine con la presenza di Joe Daley (!), mi sto ancora domandando che cosa ci facesse lì: pop music senza ritegno ma anche senza fantasia… Abbandonato dopo 10 minuti. E così si chiude questa edizione 29: non sono poche per un festival gestito da Paul Zauner e da sua madre, per tutta la parte a corollario dei tre giorni.
Foto del festival disponibili a questo link.
35° JazzFestival Saalfelden 28-31 Agosto 2014
Ben altra atmosfera a Saalfelden. Grande organizzazione, location adatte anche se rimangono sempre presenti i problemi delle sedute. Si parte con il Nexus: molta gente e poco spazio per ascoltare Hang Em Trio, poca roba, ma soprattutto per il duo chitarristico di Nels Cline e Marc Ribot. La mia prima sensazione è stata di grande virtuosismo ma poco costrutto, e anche riascoltando la registrazione poco è cambiato. C’erano momenti di incontro e dialogo, ma l’impressione di “chi la fa più lontano” è rimasta.
Venerdì si incomincia duri: Natsuki Tamura trombettista e marito di Satoko Fujii, in solo. La ricerca sullo strumento portata anche all’eccesso, ma con grande risultato. Jim Black, in trio Eyebone con Nels Cline alla chitarra ed Elias Stemeseder al piano acustico ed elettrico, ha sfoderato una capigliatura da Napo Orso Capo, ma anche una poliritmia e velocità impressionanti: una massa sonora che si rovescia sull’ascoltatore, spiazzandolo con cambiamenti di tempo e quant’altro. E si passa al Main Stage: niente emozioni per Philip Nykrin’s Wire Resistence, ma neppure per Marc Ribot con le sue protest song, canzoni che sembrano nate in osteria… Mah. Grande sorpresa il quintetto del trombettista Amir El Saffar. Coudiuvato dal pianista John Escreet e dal batterista Nasheet Waits, il trombettista di origini iraniane ha presentato un jazz molto attuale ed interessante. The Young Mothers del bassista Ingebrigt Haker Flaten presentano una musica molto variegata, arrivando perfino con Stefan Gonzales, figlio di Dennis, in veste di cantante ad accostarsi al metal…Il riferimento del nome sarà forse alle Mothers di un certo Zappa?
Il sabato per i concerti pomeridiani si ritorna al Nexus con il piano solo di Satoko Fujii, forse per me il più bello del Festival: emozioni allo stato puro raggiunte con poche note. Il trio di Erik Friedlander ha avuto la sfortuna di esibirsi dopo Satoko. In ogni caso anche qui le emozioni sono state forti, visto che il trio ha presentato le musiche di un CD dedicato alla moglie scomparsa. Ho perso l’orchestra di Christian Muhlbacher e risentendo la registrazione me ne sono pentito: echi di George Russell e di Gil Evans, notevole. Il quintetto di Ben Goldberg ha confermato l’attesa dopo l’ascolto del disco ‘Unfold Ordinary Mind’. Peccato che al posto di Ellery Eskelin ci fosse una timida Kasey Knudsen. Di nuovo la presenza di Satoko Fujii insieme al marito Natsuki Tamura e Christian Pruvost tromba e Peter Orrins alla batteria, per il progetto Kaze. Musica certo non facile, ma capace di entrare nella profondità dell’anima. Ed ecco il progetto di Henry Threadgill. Ormai Henry suona poco, nella prima parte addirittura è rimasto seduto o a ballare, ma nella seconda che ha condotto ha tirato fuori il meglio dai suoi musicisti: bello! Il secondo progetto che ha visto coinvolto Erik Friedlander con Satoshi Takeishi alle percussioni e Shoko Nagai a piano e fisarmonica è parso molto velleitario, musica che non prendeva nessuna direzione. Roy Paci con i suoi Corleone chiudeva la nottata: molto ritmo e divertimento.
La giornata di domenica iniziava con un quartetto austro olandese con Herwing Gradisching (tenore), Max Nagl (alto), Peter Herbert (basso) e Micheal Vatcher (batteria). Musica con colori free, cool fatta molto bene da professionisti, ma nulla di più. Il trio di Sylvie Courvoisier con Drew Gress (basso) e Kenny Wollesen (batteria) è stato superbo. Il pianismo fisico della Courvoisier ricorda a tratti Cecil: gran concerto. Il gruppo Get The Blessing, di cui avevo sentito parlare un gran bene, mi ha lasciato del tutto indifferente. Non è la prima volta che qualche gruppo inglese viene definito come novità e invece è una fuffa. Altra delusione quella di Fred Lonberg-Holm: nessuna direzione… fuffa due. Ed ecco ancora una volta in piedi, anche con qualche difficoltà, Archie Shepp. Il sax non graffia come una volta, ma la pelle d’oca ogni tanto arriva, la senti in piccole note. Il trio di Joachim Kuhn gli ha lasciato spazio, meglio sulle improvvisazioni che sulla ballad, dove purtroppo Archie ha dimostrato tutti i limiti di intonazione. A parte questo è stata una grande emozione ascoltarlo ancora.
Foto del festival :
https://www.flickr.com/photos/mau1961/sets/72157646797965307/
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E questo è tutto per quest’anno. Il prossimo… ci ritroviamo???
(Maurizio Zorzi)