Il buon Christian McBride non è capace di starsene con le mani in mano. Quest’anno uscirà con il nuovo disco della sua orchestra, ma nel frattempo ha girato il mondo in lungo e in largo con un nuovo quartetto, i New Jawn – neologismo che, con ogni probabilità, unisce “Joint” e “Dawn”. Nuovo giorno e nuova roba, nuova cosa, nuova band: e che band, un quartetto pianoless con Nasheet Waits (batteria), Marcus Strickland (sax) e il giovane prospetto Josh Evans (tromba). Eccoveli qui sotto, un concerto dello scorso luglio a North Sea Jazz Festival.
Christian Scott. Dove eravamo rimasti? Già, a ‘Ruler Rebel’, primo capitolo dell’ambiziosa Centennial Trilogy, dedicata ai temi dell’integrazione razziale e culturale nell’America del nuovo millennio. Se avete letto la recensione di ‘Ruler Rebel’, saprete che non ha suscitato in me impressioni particolarmente favorevoli, anzi. La speranza era piuttosto che i capitoli successivi ne prendessero le distanze, vista la piattezza e la noia che vi regnavano incontrastate. Purtroppo, puntuale come una bolletta, arriva il “purtroppo”, perché ‘Diaspora’ è sostanzialmente identico al predecessore. Talmente identico che è possibile descriverlo con un bel copia e incolla. Pronti? Via! (Continua a leggere)
Salve a tutti e benvenuti nella rubrica di interviste più asimmetrica del web. Oggi abbiamo l’onore di ospitare Francesco Massaro, sassofonista, clarinettista ed attivatore patafisico di origini pugliesi. Possiamo affermare, senza tema di smentita, che la sua recente menzione (2016) nel Top Jazz tra i Giovani Talenti Emergenti dell’Amore Universale è irrilevante ai fini della nostra più grande stima nei confronti di questo musicista, che è anche fine compositore nonché membro fondatore di una interessantissima giovane etichetta. Da poco ha sfornato un bel disco “Meccanismi di volo”, ma andiamo al sodo. (Continua a leggere)
Abbiamo il piacere di ospitare nella nostra rubrica il pianista Dino Massa. Sarà interessante chiacchierare con lui poiché di recente ha sfornato un disco edito dalla norvegese Losen Records. La mia impressione personale è quella di un lavoro molto complesso, come un grande affresco, ma non ostico all’ascolto. (Continua a leggere)
Venti anni di Padova Jazz Festival: a festeggiarli arriveranno, tra gli altri, Pat Metheny, Sergio Cammariere, Eric Reed e Mike Applebaum. In scena dal 7 al 14 ottobre, la ventesima edizione della kermesse padovana occuperà le più prestigiose sedi musicali cittadine, il Teatro Verdi e la Sala dei Giganti, che ospiteranno i concerti principali del programma. (Continua a leggere)
Tempi duri per i puristi (se ancora esistono) del jazz. Le proposte intorno alla musica improvvisata considerano sempre più il jazz uno dei possibili linguaggi utilizzabili rispetto ad altri provenienti dai più svariati contesti culturali, per lo più mantenendo ancora una posizione centrale, altre volte paritaria, in altri casi subordinata, o persino del tutto assente. Sono i probabili effetti di un processo di generale globalizzazione culturale che perdura ormai da tempo e che in fondo ha visto il jazz essere, forse sin dalla sua nascita, tra i precursori di ciò che più distintamente osserviamo oggi. Ciò non significa che tutte le commistioni musicali che si realizzano siano valide e di buona fattura e, men che meno, tutto possa essere considerato con l’etichetta “jazz”, come si tende un po’ troppo superficialmente a fare. (Continua a leggere)
Vale la pena ascoltare un estratto da quest’album, pubblicato quest’anno dalla Dodicilune, opera del sassofonista calabrese Francesco Caligiuri. Coraggioso esordio in solo in cui il nostro giovane eroe (classe 1991) sfoggia un arsenale di strumenti non da poco: sax baritono e soprano, clarinetto basso, flauto dolce. Le programmazioni elettroniche sono opera sua come anche le composizioni. Avanti così.
Dopo che l’ambiziosissimo ‘The Inner Spectrum of Variables’ ha confermato l’attenzione e la curiosità che gli addetti ai lavori prestano all’opera di Tyshawn Sorey (tra gli altri, anche il prestigiosissimo Alex Ross ha parlato favorevolmente del suo esotico connubio di composizione accademica e improvvisazione jazz), per il musicista del New Jersey si è aperto un florido periodo di attività. Nel 2016, è stata la volta di ‘Josephine Baker: A Portrait’, la cui premiere al Lincoln Center’s Mostly Mozart Festival si è guadagnata il plauso della critica: il New York Times si è sbilanciato definendolo “uno dei lavori più importanti emersi nell’epoca del Black Lives Matter’, riferimento non casuale visto che proprio per celebrare tale movimento gli è stato commissionato un ciclo di canzoni (che vedrà il suo debutto all’Opera di Philadelphia e al Carnegie Hall nel 2018). (Continua a leggere)
Chi ama il jazz non può non apprezzare questo secondo volume dedicato allo stile tradizionale.
Lo stride piano è la matrice dell’opera e delinea atmosfere, colori ed emozioni.
Claudio Cojaniz ci trasporta alle origini del jazz, quando si mescolavano e contaminavano ragtime, blues, boogie, Africa, Europa, Sud America…
Il fraseggio è tipico, richiama naturalmente Scott Joplin, ma anche Pete Johnson, Albert Ammons e il grande Meade Lux.
La componente blues é nitida e subito percepibile, non solo nella pronuncia, ma anche nel metro delle tracce dal tempo più lento.
Nei passaggi più “tribali”, “orgiastici”, i fiumi di note caricano di energia il pianismo del musicista di Palmanova, tanto da evocare Art Tatum e Fats Waller. (Continua a leggere)