Il successo, seguito in Italia da assurde polemiche, del sassofonosta losangeleno Kamasi Washington ha portato all’attenzione del pubblico il West Coast Get Down, un collettivo di musicisti attivo sulla costa californiana e in studio per vari grandi nomi del soul e dell’hip-hop. Il pianista Cameron Graves, naturalmente, fa parte di questo collettivo e con ‘Planetary Prince’ pubblica il suo primo album direttamente per Mack Avenue. Alla guida di un sestetto con basso elettrico ed espressiva frontline (Philip Dizack alla tromba, Ryan Porter al trombone, Kamasi Washington al sax), Graves si mette mostra innanzitutto per uno stile barocco, esagerato, percussivo e frastornante che porta all’eccesso la lezione di McCoy Tyner, Chick Corea, Don Pullen e Keith Jarrett. (Continua a leggere)
Uno dei discorsi intorno al jazz che si ripropongono ciclicamente tra gli appassionati è la sostanziale inutilità dell’utilizzo di etichette per definire ciò che si ascolta, in quanto il linguaggio jazzistico risulterebbe ormai talmente miscelato – o, per usare un termine assai di moda, “contaminato” – con altre culture musicali, da rendere pressoché impossibile, oltre che inutile, applicare certe distinzioni di genere. (Continua a leggere)
Non capita di rado che YouTube dia dei buoni suggerimenti in hompage. Come questo concerto di Shirley Scott del 1976 in Spagna, assieme al sassofonista Harold Vick e al batterista Art Taylor. Groove come se piovesse? Certo!
Il 2017 è appena nato ed esce, pubblicato dalla JandoMusic/ViaVenetoJazz, “A beautiful Story”, ultima fatica di Rosario Bonaccorso che, con il suo quartetto (D.Rubino, E.Zanisi e A. Paternesi), ci offre 12 sue inedite composizioni. Atmosfere delicate, sonorità dolci, sono il leit motiv di quest’opera che presenta, da subito, peculiarità e scelte stilistiche molto precise. I temi sono molto semplici, a volte leggeri e sovente malinconici, hanno il ruolo di colorare timbricamente momenti in cui il quartetto è pensato come un’orchestra novecentesca. Ricorrono, in tutto il CD, espedienti motivici poco sviluppati, ma funzionali alla resa sonora collettiva. Quest’attitudine condiziona anche gli assoli che sviluppano poco l’aspetto ritmico/melodico per rimanere ancorati alla visione d’insieme. C’è un netto rifiuto del virtuosismo in favore di un’essenzialità, sia in fase compositiva che nella prassi. (Continua a leggere)
Esordio in grande stile per Victor Gould, giovane pianista con un curriculum da accompagnatore già di tutto rispetto. Alla guida di una formazione variabile che gira attorno ad una sezione ritmica deluxe, completata da Ben Williams (basso) e EJ Strickland (batteria), Gould si mette alla prova come compositore, arrangiatore e ovviamente improvvisatore. ‘Clockwork’ significa ingranaggio, ed è un termine appropriato per descrivere un gruppo in cui ogni musicista trova la perfetta collocazione nel sound d’insieme, ed un album attentamente studiato nel suo percorso narrativo e sonoro, al punto che a tratti sembra quasi di ascoltare un’unica suite.Una frontline mozzafiato (Jeremy Pelt, Myron Walden, Godwin Louis), l’aggiunta del percussionista Pedrito Martinez, di un flauto (Anne Drummond) e di un quartetto d’archi caratterizzano in modo diverso le complesse composizioni dell’album. (Continua a leggere)