John Klemmer (nato il 3 luglio, 1946) è un eccellente sassofonista e compositore americano di cui non si parla quasi più, anche perché a un certo punto si è perso nei meandri di una musica più “easy listening” ma che tra anni ’60 e ’70 si rivelò uno straordinario improvvisatore che andrebbe riascoltato e rivalutato. (Continua a leggere)
Sappiamo come Bob Weinstock della Prestige favorisse il formato delle jam session, che tanti capolavori hanno dato alla storia del jazz. Si radunano i musicisti, si preparano arrangiamenti essenziali, e via, si registra, con la massima semplicità, confidando nell’intesa fra i protagonisti e nella bontà del materiale. Più o meno questi devono essere i presupposti di ‘Very Saxy’, album del 1959 che ci pone di fronte ad un problema di attribuzione: Eddie “Lockjaw” Davis e la sua band ospitano tre tenori, oppure un album dei quattro sassofonisti? Le note suggeriscono la prima ipotesi, ma alla fine poco ci importa, perché l’album è eccezionale. Oltre alla già citata formazione di Davis (quella degli storici Cookbook, ovvero Shirley Scott all’hammond, George Duvivier al basso e Arthur Edgehill alla batteria) abbiamo infatti tre ospiti incredibili: i texani Arnett Cobb e Buddy Tate e il venerato maestro Coleman Hawkins, all’epoca già cinquantacinquenne ma ancora in splendida forma. (Continua a leggere)
Periodo dell’anno molto ricco di uscite, l’autunno. Oltre a Mary Halvorson, di cui vi abbiamo già parlato poco tempo fa, dobbiamo segnalare pure l’arrivo di James Brandon Lewis, Jonathan Finlayson e del supergruppo Aziza. (Continua a leggere)
Al via la XXXIIª stagione di Aperitivo in Concerto, 12 concerti dal 30 ottobre 2016 al 5 marzo 2017. La rassegna quest’anno sarà interamente dedicata all’improvvisazione e alle sue molteplici sfaccettature e declinazioni. La musica improvvisata di origine africano-americana ha posto le sue radici nel legame con la tradizione più lontana, mantenendo con essa un dialogo profondo, intenso ed inesauribile. (Continua a leggere)
Dopo numerose collaborazioni tra sideman e co-leader ecco il primo disco di esordio come leader del trombonista Filippo Vignato, alla guida di un trio italo-franco-ungherese. Trio formato oltre dal leader al trombone ed elettronica, dal francese Yannick Lestra al fender rhodes e dall’ungherese Attila Gyarfas alla batteria. Come viene indicato da Vignato, nelle note di copertina, è il suono, inteso come respiro plastico, il centro della ricerca di questo lavoro. In effetti tutto si plasma intorno al suono del trombone, nesso tra il respiro e il suono. E’ il trombone, dove respiro e suono si fondono, a creare lo sviluppo di questa ricerca. Scrittura, ricerca musicale e libera improvvisazione fanno da spina dorsale al cd. Ma non solo, numerosi sono gli accenni più o meno velati al rock prog (Provvisorio) o al rock più potente (Stop This Snooze) oppure alla psichedelia (Square Bubbles e Lev & Sveta). (Continua a leggere)
Nell’attesa di vederlo a breve in Italia, ecco il quintetto di Roy Hargrove alle prese con una bellissima versione di ‘Tom Cat’, classico di Lee Morgan. Da notare come il gruppo entra ed esca agilmente dal tracciato, gettando una luce originale sul brano senza però tradirne le premesse.
Se vi raccontano a colpi di “eureka” e dopo decenni di sedicenti “mitologie” che la Black Music non esiste, non dategli retta, sono solo opinioni come minimo discutibili, se non proprio balzane, magari dette con aria pseudo colta, ma sempre tali rimangono, e se invece di far spallucce vi verrà da pensare che sia il caso di dar retta a chi lo sostiene, solo perché immaginate abbia più competenze e conoscenze di voi, vi dico di non sottovalutarvi così tanto e provare ad ascoltare, anche solo ad esempio, un brano come quello che sto per proporvi, fidandovi delle vostre orecchie e non delle chiacchiere altrui, osservando la pronuncia, il suono e il feeling di quel gigante del sax tenore che è stato Stanley Turrentine, nero che più nero non si può, domandandovi se vi sia mai capitato di ascoltare, che so, un jazzista europeo o italiano che abbia suonato nel modo sotto proposto. (Continua a leggere)
Erano anni che non mi avvicinavo più all’ECM. La curiosità di sentire il SoupStar, che dal vivo mi ha sempre emozionato, con l’aggiunta di due musicisti come Louis Sclavis e Gerald Cleaver mi fatto saltare l’ostacolo. Inoltre anche la presenza di un brano che amo, Ida Lupino, ha fatto da par suo. Nonostante queste premesse, il disco purtroppo conferma le stesse caratteristiche “nordiche” dell’ECM. Suonato e registrato benissimo beninteso, ma che non riesce a emozionare. Peccato perchè dal pezzo iniziale, What We Talk About When We Talk About Love, un incedere su piano e batteria ipnotico dove il trombone di Petrella si inserisce benissimo, fino a Ida Lupino, le premesse per un gran disco c’erano tutte. L’ottima intesa tra i musicisti, rende l’ascolto molto piacevole anche se molto riflessivo, i colori e i ritmi si sovrappongo in maniera ottimale. (Continua a leggere)
Se la tua nuova casa discografica ti mette a disposizione, come sideman, Jason Moran e Pat Metheny, vuol dire che le aspettative sono alte. Logan Richardson, con già due album interessanti in carniere e una lunga esperienza a fianco di Greg Osby, Stefon Harris, Gerald Clayton e altri ancora, si dimostra meritevole di tanta fiducia e dà alle stampe un disco che ben esemplifica l’attualità del jazz. Dotato di un suono limpido e cristallino di spiccata inflessione blues, il suo sax ricorda un Greg Osby più romantico e immediato – con una dolcezza che, a tratti, fa pensare pure ad Art Pepper. La struttura-base dei brani di ‘Shift’ è il chorus, in cui la band entra ed esce in maniera fluida, con entusiasmanti crescendo di intensità ed energia, ma pure improvvise, necessarie rarefazioni per riprendere il fiato; ed è il sax, con le sue linee rapsodiche, a guidare con sicurezza. (Continua a leggere)
A illuminare ulteriormente la fine del 2016 ci pensa pure la sempre attiva Mary Halvorson, stavolta col suo ottetto. ‘Away With You’ esce su Firehose 12 il prossimo 28 ottobre. (Continua a leggere)