Uscirà il prossimo sette ottobre ‘#knowingishalfthebattle’ (sì, così, con l’hashtag), nuovo album dell’instancabile Orrin Evans, ovviamente su Smoke Sessions. La formazione, lo si legge qui sopra, comprende nomi rinomati come Kevin Eubanks (trombone), Kurt Rosenwinkle (chitarra), Luques Curtis (basso) e Mark Whitfield Jr. (batteria), più gli ospiti Caleb Curtis (sax) e M’balia Singley (voce). (Continua a leggere)
La location del Tempio Di Nettuno, in mezzo ai resti d’epoca romana, è suggestiva e sarebbe stata una cornice magnifica per il concerto di Cyrus Chestnut e i suoi. Dico sarebbe, perchè un acquazzone mattutino ha spinto gli organizzatori a optare per la prudenza e spostare in fretta e furia l’esibizione in un piccolo gazebo presente nel parco stesso. Ma va bene anche così: ci siamo goduti dell’ottimo jazz a distanza estremamente ravvicinata.
Di Chestnut abbiamo già parlato in precedenza su queste pagine: si tratta di uno dei pianisti più solidi del panorama mainstream americano, con una proprietà di linguaggio che attraversa decenni di jazz fino a toccare radici intrise di blues e di gospel. Il trio è completato da una sezione ritmica dal pedigree impressionante: Buster Williams al basso, Lenny White alla batteria. La stessa formazione, dunque, autrice del recente ‘Natural Essence’. Proprio quest’ultimo costituisce il fulcro della scaletta, anche se stasera i nostri sembrano avere una marcia in più rispetto al (pur buon) disco. In particolare, a giovarsene è la ‘Mamacita’ che fu di Joe Henderson, ora davvero travolgente, ma anche i momenti più calmi, come la “notturna” ‘Faith Amongst The Unknown’, risultano altrettanto incisivi. (Continua a leggere)
Dopo una notevole serie di album autoprodotti e la vittoria della Thelonious Monk Competition 2014, il trombettista Marquis Hill approda su una casa discografica di spicco, guadagnandosi l’opportunità di farsi conoscere presso un pubblico più ampio. ‘The Way We Play’ schiera una band rodatissima, il fido Blacktet (in cui spiccano in particolar modo la batteria di Mkaya McCraven e il vibrafono di Justin Thomas) al gran completo, e si pone l’obiettivo riammodernare il repertorio jazzistico con originali riletture di standard (‘Moon Rays’, ‘My Foolish Heart’, ‘Polka Dots’, ‘Maiden Voyage’, ‘Straight No Chaser’, una splendida ‘Moon Rays’) e di rappresentare l’anima musicale di Chicago. Non per niente il disco viene introdotto da una rielaborazione del tema dei Bulls, su cui viene annunciata la formazione al completo, da Makaya McCraven fino al leader. (Continua a leggere)
Dopo quasi cinquant’anni dalla sua morte, trascorsi tra mito e aneddotica relativa, tra coltranismi, modalismi, spiritualismi e avanguardismi vari, insomma tutta la serie di -ismi ai quali è affezionata una vasta porzione di appassionati, sarebbe interessante effettuare una verifica critica sedimentata circa l’opera di John Coltrane, la sua discografia e la relativa eredità musicale. Tema assai ampio e impegnativo che certo non si può dibattere in sede di una breve recensione. Che si stia parlando di uno dei giganti autentici di questa musica, non vi è alcun dubbio. Che la sua discografia sia da prendere integralmente per oro colato come fanno in molti, è un’altra faccenda e sarebbe cosa poco seria, più prossima al fanatismo da collezionista che alla onesta valutazione musicale. (Continua a leggere)
Questa è la versione originaria debitamente corretta e modificata del saggio pubblicato nell’ottobre 2015 su Musica Jazz e intitolato “Two For The Road“. Ho cercato di tener conto del feedback relativo alle opportune correzioni e modifiche al testo effettuate sulla bozza in sede di redazione dalla rivista, di cui ringrazio il direttore Luca Conti. (Continua a leggere)
Chi ci segue lo sa: Arturo O’Farill, su queste pagine, è molto ben visto, al punto che ci piace considerarlo come uno dei maggiori esponenti della musica (jazz, e non) contemporanea. (Continua a leggere)
Diretto dal giovane mago dei tamburi Ches Smith – già con gli Snakeoil di Tim Berne – il trio è un frutto delizioso dei locali-laboratorio newyorchesi, dove è normale “osare”. (Continua a leggere)
Sono passati diversi anni dall’ultima prova di Herlin Riley, portentoso ex batterista di Ahmad Jamal e Wynton Marsalis dallo stile profondamente “New Orleans”, come leader. In tutto questo tempo il buon Herlin si è dedicato innanzitutto all’insegnamento e ai concerti, senza troppo curarsi di nuove produzioni discografiche a proprio nome. Questo letargo finalmente si è interrotto con l’uscita di ‘New Directions’, primo su Mack Avenue. Accompagnato da una schiera di giovani talenti, Herlin e i suoi affrontano un repertorio di brani originali, in bilico fra passato e presente, tradizione e aggiornamento: umori e colori blues, afro-cubani, funk e second line si intrecciano agilmente nelle complesse partiture del gruppo, che suona compatto, energico, spinto dagli inarrestabili poliritmi del batterista, dal caratteristico stile raffinatissimo e musicale giocato sulla continua alternanza fra legno, metallo, pelle e percussione. (Continua a leggere)
Christian McBride, oltre ad essere uno dei maggiori contrabbassisti viventi, è pure un musicista estremamente versatile, un profondo conoscitore della musica (jazz e non solo) nonché un fermo sostenitore della comunicatività della stessa. La sua più recente formazione, il trio conUlysses Owens e Christian Sands, lo ribadisce, come possiamo sentire in questa travolgente esibizione presso gli studi dell’emittente KPLU.
Sempre più spesso ci capita di leggere discorsi contraddittori sul jazz, tra sedicenti “puristi” che vorrebbero ingabbiare questa musica in confini ristretti, magari semplicemente legati al proprio gusto personale e chi invece, cercando di darsi una apparenza di persona musicalmente e culturalmente aperta, straparla di “aprirsi alle musiche”, e di musica “evoluta”, se non proprio ormai affrancata dalla propria tradizione e mutata in qualcosa nel quale sarebbe ormai inutile cercare di identificare certe peculiarità stilistiche. (Continua a leggere)