Quando Al Jarreau sale sul palco zoppicante, aiutato non solo da un bastone ma anche da un paio di assistenti, il primo pensiero è che il tempo non sia stato troppo clemente con lui. Vederlo muoversi con fatica, non sappiamo se come strascico dei problemi di salute di qualche anno fa o per qualche infortunio dell’ultimo minuto, è uno spettacolo ai limiti dello struggente. Per un attimo il pubblico (piuttosto numeroso invero) si chiede se valga la pena insistere così, se a 75 anni e con un fisico piuttosto provato non sia meglio restare a casa e godersi attività meno spossanti di un tour in giro per il mondo (sarà in Europa per tutto Luglio, poi date a intermittenza negli Stati Uniti fissate fino a Novembre. Persino una capatina in Brasile al Rock In Rio!). Il buon Al, coppola alla Brian Johnson in testa e cravatta a fantasia viola al collo, ci mette poco però a zittirci (Continua a leggere)
Preceduto da recensioni entustiastiche e un ottimo piazzamento nel referendum annuale della Rivista Musica jazz con un terzo posto riguardo i dischi italiani, l’occasione di ascoltare questo ensemble di ben 13 elementi è stata data dal circolo Caligola, anche editore del disco in questione. Rispetto alla formazione del disco qualche variazione: manca dla tromba di Rubegni, che però è stata colmata da ri-arrangiamenti, sostituendola con la tuba e il bombardino di Masetti. La presenza di strumentisti come Piero Bittolo Bon, Beppe Scardino, Francesco Bigoni, Pasquale Mirra e Alfonso Santimone, ormai più che conferme della scena jazzistica italiana, non poteva che scaturire in un bellissimo progetto. (Continua a leggere)
Parafrasando Stanley Crouch in un suo scritto di presentazione ad un disco proprio di Steve Kuhn, tre è un numero ideale per un gruppo jazz, specie quando è composto da musicisti di talento, grande esperienza e disposizione alla disciplina, come appunto sono lo stesso Kuhn, Buster Williams e Billy Drummond, peraltro da considerare autentiche icone del jazz relativamente al rispettivo strumento. (Continua a leggere)
Penultimo appuntamento con la manifestazione milanese al Parenti dedicata al “mainstream”, iniziato con l’annuncio della direzione artistica di un prosieguo dell’esperienza per la prossima stagione concertistica, e continuato confermando l’alto livello delle proposte, con la fruizione di un concerto messo in scena da un quartetto acustico di giovanissimi brillanti musicisti, che hanno presentato una progetto musicale moderno e fresco, non convenzionale, costruito su un ampio bacino di riferimenti. (Continua a leggere)
Settantacinque anni e non sentirli. Questa in estrema sintesi è la sensazione con la quale siamo usciti dal Teatro Parenti domenica mattina dopo aver assistito all’eccellente esibizione di un jazzista di prim’ordine, classe 1940, che forse non gode attualmente di un adeguato riscontro all’altezza dei meriti, perlomeno in Italia. (Continua a leggere)
Nell’accogliente sala del Teatro del Gavitello il pubblico italiano ha potuto assistere ad una prima di assoluta rilevanza. Non solo Devin Paglianti viene per la prima volta in Italia, ma lo fa presentando in esclusiva un suo personalissimo, inedito progetto destinato a squadernare per sempre i meandri della musica per come la comprendiamo oggi. Le usuali dicotomie scritto-improvvisato, intenzionale-casuale infatti sono annullate interamente nel suo rivoluzionario The Tombola Conduction. (Continua a leggere)
E’ difficile fare valutazioni complessive per una rassegna, come quella di questa edizione, nella quale chi scrive non ha potuto assistere a tutti i concerti in programma del Festival, alcuni dei quali, come quello del trio del chitarrista Nels Cline, fonti attendibili mi dicono essere stati di buon livello. Tuttavia, un’idea pensiamo di essercela fatta seguendo i concerti delle tre serate al Donizetti e il concerto pomeridiano del sabato all’Auditorium di Piazza della Libertà del Trio di Vijay Iyer. (Continua a leggere)
Concerti come quello di domenica al Manzoni sembrano fatti apposta per confutare in musica certi paradigmi critici che da tempo si portano avanti e che si leggono sempre più spesso anche sui social in rete, a proposito di alcuni elementi basilari sui quali si poggerebbero il presente e il futuro della musica improvvisata contemporanea, più o meno di estrazione jazzistica. (Continua a leggere)
Inizia sotto i migliori auspici “Jazz al Parenti”, la manifestazione milanese incentrata sul cosiddetto “mainstream” sotto la direzione artistica di Gianni M. Gualberto, inaugurata domenica mattina con l’eccellente concerto del trio di Kenny Werner, che non ha minimamente tradito le attese, sciorinando musica improvvisata di classe, ispirata ed eseguita con grande perizia tecnica da musicisti estremamente affiatati. (Continua a leggere)
Viviamo tempi nei quali musicalmente si assiste a una pletora di musicisti/improvvisatori che spaziano sempre più spesso dalla musica accademica al jazz, sino al rock, con un approccio estremamente disinibito ed eclettico e che attingono al vasto materiale compositivo prodotto nel secolo scorso nei diversi ambiti di genere, elaborando concerti e progetti discografici molto ambiziosi, ma che non di rado difettano di profondità e ispirazione autentica, con il risultato di produrre sterili “omaggi” al tal gruppo o al tal musicista, o pretenziosi lavori “contaminati” privi di reale consistenza artistica e di scarsa coerenza e idiomaticità di linguaggio. (Continua a leggere)