FREE FALL JAZZ

Interviste's Articles


Foto di Roberta Fusco

I CD stanno in un cartoncino dentro una busta di plastica, semplice…anche troppo! Ma se il packaging non è dei più lussuosi, se il numero di copie è limitato, se non ci si può permettere lo studio di Abbey Road, se oltre alla musica bisogna curare anche la grafica… pazienza. I margini entro cui si muove Luca Pissavini (contrabbassista e fondatore della piccola ma prestigiosa Bunch Records) sono stretti in questi tempi di melma, ma visto che la musica proposta è buona, allora tutti i limiti si tramutano in spezie… e aggiungono sapore a un buon piatto. Ho incontrato e conosciuto quest’omone lombardo al quale mi è sembrato interessante porre alcune domande.

Parlaci un po della Bunch Records. Vorremmo sapere da quanto tempo è attiva, quanti e quali lavori ha pubblicato, se c’è o meno una direzione musicale o un’idea di fondo, chi sono i musicisti presenti in catalogo, come avviene la distribuzione.
Ciao caro Carlo, innanzitutto grazie per la possibilità di parlare di BUNCH Records! L’etichetta nasce all’incirca a Marzo 2013 da un’idea folle: avevo dei dischi miei da pubblicare, ma le proposte artistiche di varie etichette non mi soddisfacevano – la sparo forte – sia per tempistiche che per soldi da investire. Ho deciso così di mettermi in proprio, stare ai miei tempi  e alle mie possibilità, decidendo quando e come far uscire i miei progetti. Finora abbiamo pubblicato otto lavori, che potete trovare ed ascoltare sul sito; dico “abbiamo” perché la musica ė di chi la scrive e la suona, e quando si pubblica per BUNCH Records ci  si  prende le proprie responsabilità. Riguardo ai musicisti ti dico la verità: sono amici, compagni d’avventura, colleghi, matti, sognatori, performer e geni, che come me hanno creduto nell’autoproduzione e nella diffusione dal basso, facendo concerti e macinando chilometri, come si faceva una volta. (Continua a leggere)

Fisico da wrestler e risata dirompente, Arnold Strickland è un chitarrista jazz newyorkese che NON è parente dei gemelli Marcus e EJ, ed è impegnato in moltissimi progetti… ma molto probabilmente non avete mai sentito parlare di lui! Questo, comunque, non è un buon motivo per ignorarlo, visto che il buon Arnold, conosciuto tramite amicizie in comune, ha molte cose interessanti da dire ed è pure molto affezionato all’Italia. (Continua a leggere)

Quello di Dario Germani, contrabbassista laziale, è un trio pianoless (oltre al titolare: Stefano Preziosi al contralto, Luigi Del Prete alla batteria e l’ospite Max Ionata al tenore) che si muove con disinvoltura tra cool jazz e bop, proponendo, oltre a un pugno di originali, una serie di riletture per nulla ovvie (pescate dai repertori di monumenti come Paul Desmond, Bud Powell, Monk, Yusef Lateef e Miles Davis). Dell’ottimo esordio ‘For Life’ (Tosky Records) vi abbiamo già ampiamente detto in sede di recensione: ora è il momento di porre qualche domanda per conoscerlo meglio.

Ascoltando ‘For Life’ non si direbbe, ma nasci come musicista rock. Raccontaci il tuo percorso musicale: come sei arrivato infine al jazz?
Ho iniziato suonando musica rock con il basso elettrico, strumento che avevo iniziato a studiare con il maestro Gianluca Renzi, per poi passare al contrabbasso, sempre parallelamente agli studi classici. All’inizio il jazz mi interessava solo come studio, poi si è trasformato in una vera e propria passione per la vita. Il jazz è un viaggio infinito senza ritorno, secondo me. (Continua a leggere)

JD Allen torna nuovamente sulle nostre webpagine con un’intervista, si spera, interessante, a poco più di una settimana dalla recensione dell’eccellente ‘Grace’. Il sassofonista di Detroit è uno dei migliori musicisti dalla sua generazione, e pure il coraggio non gli manca: non tutti, forse, avrebbero messo da parte un trio così lodato e di (relativo) successo come il suo per la paura di essere entrato in una routine di lusso. JD ha preferito mettere da parte, per il momento, Gregg August (basso) e Rudy Royston (batteria) per concentrarsi su un gruppo e una musica completamente nuovi. Visti i risultati, non gli diremo certo di aver sbagliato! E quindi leggiamo volentieri le parole di questo musicista serio e simpatico, a tratti brusco, che non parla e non suona mai invano. (Continua a leggere)

Era da tempo che mi ripromettevo di scrivere qualcosa su Fred Buscaglione, personaggio forse poco “praticato” dai puristi della musica di cui leggete su queste pagine, ma che nella sua fin troppo breve carriera riuscì a portare una ventata d’aria fresca importante nella musica italiana dei tardi anni ’50. Cantante e polistrumentista appassionato di jazz – interesse coltivato anche grazie a mesi trascorsi come prigioniero degli americani in tempo di guerra – Buscaglione decise di rivolgersi al pubblico in maniera scanzonata, facendo suoi certi dettami tipici dello swing d’oltreoceano, ma soprattutto inventandosi – con il paroliere e braccio destro Leo Chiosso, il cui input per la costruzione del personaggio fu imprescindibile – un immaginario da bulli e pupe che stupì e incuriosì le platee “vergini” dell’epoca, che lo accettarono divertite. Così, mentre l’Italia applaudiva ‘Grazie Dei Fiori’, questo strano personaggio cantava (con un timbro che in realtà spesso si trasformava in una sorta di “parlato”) un mondo fatto di whisky, sparatorie e splendidi “mammiferi modello 103” (così si riferisce alla sua bella in ‘Che Bambola’), prendendosi gioco dei gangster movie a stelle e strisce che tanto successo avevano riscosso al cinema. Una parabola velocissima, che si spezzò proprio nel momento di massima popolarità, nel 1960, a causa di un tragico incidente stradale che, suo malgrado, sancì la nascita del mito. Fred, in perfetta linea col suo personaggio, era alla guida di una fiammante Ford Thunderbird. (Continua a leggere)


Qualche tempo fa un amico mi ha chiesto se conoscessi un musicista chiamato Erminio Furlo. No, mai sentito nominare. Bene, mi dice l’amico, si tratta “un jazzista d’avanguardia degli anni ’70 e ha inciso pure un disco oggi rarissimo. Strano, pensavo tu lo sapessi…” Da questa breve discussione mi si apre un mondo: quello, appunto, di Erminio Furlo, misconosciuto eroe del jazz italiano, sperimentatore audace, critico dei luoghi comuni sul jazz e con la testa rivolta sempre avanti, anche ora che è un uomo anziano. L’amico in questione di jazz se ne disinteressa, ma conosce Erminio da anni in quanto amico di famiglia. Il senso di ragno trilla: magari riesco a fargli un’intervista per FFJ! Erminio è un uomo cordiale e risponde subito di sì, così ci troviamo a casa sua, un piccolo rustico fra le colline versiliesi, per un’amabile chiacchierata. (Continua a leggere)

A poca distanza dalla recensione dell’ottimo ‘Take A Little Trip’, Jason Palmer ha risposto gentilmente alle nostre domande svelando parecchie cose interessanti. Il giovane trombettista è una delle stelle in ascesa del panorama americano e finora non ha sbagliato una mossa – inclusa pure la partecipazione in veste di protagonista al film indipendente ‘Guy And Madeline On A Park Bench’, che ci riproponiamo di visionare. (Continua a leggere)

Io: Buonasera gentile pubblico e benvenuti alla sesta puntata di Call and response, la vetrina d’interviste più kùl della città! Qui ai microfoni di Free Fall Jazz è Carlo ad augurarvi il massimo delle fortune e dello suìngh con tanto grùv nel giusto mùd… In regia si spertica di saluti Nico Toscani… Eheheheh… Ciao Nico, ciao ciao!

Dunque iniziamo.

A chi bazzica anche solo da lontano il panorama del Jazz Italiano Contemporaneo (in seguito denominato “JIC”) degli ultimi diciotto anni circa, non sfuggirà di certo il nome di Francesco Cusa (denominato nel prosieguo per brevità “FC”).

Il sopra(c)citato JIC è una bestia strana: ci regala molte pietre preziose, merda fresca e merda fossile, argilla ancora da modellare, noiose perle perfette di rara bellezza e bombe d’incandescente pietra lavica.

A quest’ultima categoria afferisce di certo FC: per l’appartenenza geografica Etnea, per la rovente energia della sua musica e per la vulcanica attività (…è batterista, compositore, editore, fondatore del movimento NON “COLLETTIVO” Improvvisatore Involontario, docente, direttore di sonanti e moventi organici creativi colorati e diversi, critico cinematografico, uomo di penna e di bacchetta).

Accogliamolo dunque con un caloroso applauso… perchè il Sig. FC è QUIIII!

[...APPLAUSI...]

FC: Grazie, grazie…troppo buoni.

Io: Prego si accomodi sulla nostra comoda poltrona borchiata in pelle nera.

FC: Buonasera!

(Continua a leggere)

Questa intervista è rimasta nel cassetto per quasi due mesi, e solo per questioni di pigrizia acuta. Franco D’Andrea veniva a suonare a due passi da casa, colgo la palla al balzo e lo contatto via email, chiedendogli se per caso fosse interessato a rilasciare un’intervista. Lui risponde di sì, così ci scambiamo i numeri di telefono. Il giorno del concerto ci sentiamo nel primo pomeriggio, ci vediamo verso le sedici e facciamo una piacevolissima chiacchierata nella campagna versiliese. Poi, il blocco, per pura pigrizia (appunto), dopo aver scritto più di metà dell’articolo. Alla fine, però, ha prevalso la correttezza. Non era davvero giusto privare i nostri quindici lettori di questa interessantissima intervista, e dunque eccovela, con la promessa di trattare quanto prima pure di ‘Traditions And Clusters’, l’ultimo doppio album di Franco D’Andrea. (Continua a leggere)

Dopo la recensione dell’ottimo ‘Ohmlaut’ è tempo di intervistarne l’autore, il sassofonista a tratti rocker molto probabilmente videogiocatore e di sicuro casinista Piero Bittolo Bon. Fra le tante domande, gli risparmiamo quella sul nome della sua band, Jümp The Shark: è un termine che indica il declino di una serie tv, nato durante gli ultimi rantoli di ‘Happy Days’ quando Fonzie fa sci d’acqua e salta uno squalo. Scaramanzia? Passione per le serie tv americane? Un misto di entrambi, più probabilmente. La cosa più importante è piantarla con questa introduzione e lasciar parlare Piero, uno degli esponenti più interessanti di quel jazz nostrano lontano da enoteche, agriturismi e degustazioni.

Partiamo dalla presentazione di rito. Chi sei e come lo sei diventato?
Ehilà. Sono principalmente un sassofonista di jazz, o di quel che ne è rimasto. Lo sono diventato più che altro a causa della mia atavica pigrizia e della mio abbastanza disastroso cursus studiorum. Diciamo che ad un certo punto ho capito che procura molti meno danni alla società essere un musicista mediocre piuttosto che un pessimo architetto.

Cosa ti ha folgorato spingendoti sulla via del jazz?
La spinta principale me la diede mia mamma, comprandomi il mio primo sassofono a 14 anni (strumento che scelsi piuttosto casualmente), col quale cominciai a suonare nei gruppi del liceo. Non ero del tutto convinto del mio ruolo devo dire, anche perchè il repertorio di quei gruppi spaziava tra i Cure e gli U2… L’ascolto di alcune audiocassette giratemi dall’allora ragazzo della mia sorella maggiore, che suonava il sassofono pure lui (grazie Fabio!) mi diede il primo imprinting jazzistico: ‘Kind Of Blue’, Chet Baker e soprattuto delle straordinarie incisioni di Massimo Urbani che mi facevano letteralmente girare la testa. (Continua a leggere)

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