FREE FALL JAZZ

Filthy McNasty's Articles

Oggi affrontiamo un tema tabù, relativo ad un musicista-totem per molti improvvisatori delle avanguardie europee, da loro molto stimato, ma che a mio modo di vedere (e non solo, come vedremo più sotto)  non è propriamente considerabile un jazzista. Il che può significare poco o nulla. Si può essere dei grandi musicisti e compositori senza essere dei jazzisti, l’importante è non far confusione, come invece regolarmente accade e per ragioni non sempre chiarissime. (Continua a leggere)

Ho sempre trovato il preambolo formale in ambito di critica jazzistica un sostanziale errore metodologico nell’esprimere le relative valutazioni sulla musica che si ascolta, così come l’eccesso di enfasi posta oggi sulla complessità o meno delle strutture nella musica improvvisata un elemento che può gravemente distorcerne il giudizio. (Continua a leggere)

Qualche tempo fa si è tenuta la miliardesima edizione del Festival di Sanremo, con tutto il solito regolare codazzo di polemiche, favoriti, sfavorite, nuove proposte, vecchie mummie e chi più ne ha più ne metta. Niente di diverso dalle edizioni passate né, vien da pensare, da quelle future. Nell’edizione 2016 ha fatto scalpore la presenza di un musicista in particolare, Enzo Bosso, pianista e compositore, purtroppo affetto da SLA a soli 44 anni. (Continua a leggere)

Hai voglia di ignorare il Festival di Sanremo, di inarcare le sopracciglia ben disegnate o arricciare il delizioso nasino. Non si può negare l’antropologia culturale: così come non si può negare agli indios Nambikwara di essere così come li raffigura “Tristes Tropiques”, non si può negare a Sanremo di essere lo specchio di quell’Italia che è passata dal mondo contadino all’arricchimento post-industriale senza avere avuto il tempo di superare l’insegnamento coatto-clerical-democratico di “Non è mai troppo tardi”. (Continua a leggere)

Uno dei cliché ancora oggi circolanti intorno al jazz è che la tecnica strumentale possa diventare un ostacolo all’espressività, che cioè possa in qualche modo vincolarla, impedendo di liberarla nella sua interezza. (Continua a leggere)

  1. C’è un ampio dibattito sulla questione se il jazz rientri (o debba rientrare) nei crismi della “cultura alta”, se si tratti di un fenomeno pienamente riconducibile alla cultura popolare, se rappresenti un originale via di mezzo fra le due (un fenomeno midcult, per così dire) o, infine, se incarni una sfida ancora non del tutto compresa a qualsiasi classificazione in tal senso. Il rapporto fra jazz e sfera commerciale, a sua volta molto discusso, è strettamente collegato a quest’ultimo. (Continua a leggere)

Quando fu annunciato Dave Douglas come nuovo direttore artistico di Bergamo Jazz, confesso di aver avuto qualche perplessità. Intendiamoci, massima stima, in generale, per lui: si tratta di un trombettista straordinario e, più in generale, di un artista poliedrico con tutti i crismi del grande leader. (Continua a leggere)

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Un Jarrett che se la ride?

Come sempre, il ritorno di Keith Jarrett in Italia per qualche sua esibizione, riaccende le dispute. Un cliché ormai risaputo che di solito stimola una discussione più sul personaggio che sulla sua musica, che è lodabile ma per molti versi anche  criticabile, come per tanti altri. Non si capisce dove sia il problema, o meglio, forse si capisce sin troppo bene… (Continua a leggere)

In seguito ai concerti italiani di Kamasi Washington della scorsa settimana si è sollevato un polverone impressionante, qui in Italia. Come spesso succede, sono nate due fazioni litigiose di pro e contro, guelfi e ghibellini, Coppi e Bartali. In mezzo, qualcuno che si è goduto il concerto, magari senza sapere molto del jazz in generale: indubbiamente fortunato, ancor più perché estraneo alla ridicola pugna. Per il resto, risate amare di fronte alla gazzarra appena trascorsa. (Continua a leggere)

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E’ diventato un ritornello molto frequentato quello di affermare, anche tra gli stessi musicisti, che il materiale compositivo legato alle canzoni di Broadway o a battutissime composizioni jazzistiche del passato, i cosiddetti “standards” suonati già migliaia di volte, sia ormai pressoché esausto ai fini improvvisativi. Basta, insomma, con “i soliti” standards, basta con la forma chorus a 32 battute. (Continua a leggere)

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